Calderón:Il bue rifiutato dall'asinello
José Luis Calderón (La Plata, 24 ottobre 1970)
Dopo aver parlato di 2 dei magnifici 5 che il napoli ebbe nella tormentata stagione 97/98, adesso parliamo del terzo fiore all'occhiello della squadra di Ferlaino in quella stagione cosi sciagurata e cosi sfortunata culminata alla fine del torneo con una brutta retrocessione e con molti record negativi.
La storia ci insegna che Napoli è la città del “pacco”, come narrano le antiche tradizioni partenopee e recentemente anche un film dal titolo: «Pacco, Doppio Pacco e Contropaccotto». Ma in molti casi, come questo, la storia si ribalta, ed è stato il capoluogo campano che, calcisticamente parlando, ha dovuto incassare la beffa. Ma andiamo con ordine. E’ indispensabile tornare indietro nel tempo: in Argentina si seppe di un mite interessamento del Napoli al centravanti Josè Luis Calderon. Subito nell’estate successivaDaniel Passerella, l’allora trainerdella Nazionale argentina, convocò il giocatore per la Coppa America: sembrava già una grazia. E invece giocò addirittura diverse partite da titolare. I risultati, ovviamente, furono sconfortanti, ma la puzza di bruciato, che si sentiva fino alle falde del Vesuvio, non insospettì il Patrondel Napoli Ferlaino che non si fece sfuggire l’occasione e per “soli” 7 miliardi di Lire si aggiudicò “El Caldera” (come era soprannominato in Patria). Peraltro, senza dover battere la concorrenza di nessuno, visto che quella napoletana fu l’unica offerta presentata. La sua prima dichiarazione arrivato a Napoli fu assai bellicosa ma parecchio spavalda: «Sono venuto a Napoli per fare gol: ne farò più di Angelillo» (che, per la cronaca, ne realizzò 33 in una sola stagione!). La sparò davvero grossa: a conti fatti, totalizzò uno zero tondo tondo nella classifica marcatori, con la miseria di appena 6 presenze. A Gennaio viene mandato via dalla disperazione. Ha poi proseguito la sua carriera in Argentina, a parte un paio di esperienze in Messico (Amèrica ed Atlas). Del suo inglorioso periodo sul golfo napoletano resta solo una traccia: una rete segnata al Leffe in precampionato. Anche troppo per uno come lui, che è entrato di diritto nella storia dei “Bidoni” calcistici partenopei.
ecco una sua dichiarazione al suo arrivo a Napoli:«Io quest’anno in Argentina ho fatto trentuno reti. Angelillo qui ne fece trentatre’? Si ha sempre il dovere di inseguire i record. Ma a me trenta basterebbero» forse parlava dei minuti che avrebbe voluto giocare.
stranieriflop
sabato 4 maggio 2013
martedì 30 aprile 2013
Hugo Maradona:Non riusciì a superare il maestro
Hugo Maradona:Non riusciì a superare il maestro
Hugo Hernán Maradona (Lanús, 9 maggio 1969)
Oggi vi parlerò non di un giocatore qualsiasi che ha avuto poca fortuna in Italia ma di un fratello d'arte, uno dei giocatori più forti visti nel nostro calcio Diego Armando Maradona, ma si sa in una famiglia ad avere i cloni del grande campione può essere uno solo e nella famiglia Maradona non era certo il piccolo Hugo Hernan ma conosciamolo meglio.
Se sei fratello d'arte hai vita dura a prescindere. Se sei il fratello del calciatore più forte al mondo è ancora peggio. Se in più sei raccomandato dal parente illustre allora hai già perso in partenza la sfida con la diffidenza. E nei confronti di Hugo Maradona era assolutamente legittima. È l'estate del 1987 e Diego Armando Maradona è senza se e senza ma il più grande calciatore in assoluto. Qualche mese prima ha portato il Napoli a vincere il primo storico scudetto e dodici mesi prima ha vinto praticamente da solo il mondiale. Il credito nei confronti del Napoli è tale che riesce a far sì che il club partenopeo acquisti il fratellino Hugo, all'epoca diciottenne. Di lui Diego spende parole importanti: "Diventerà più forte di me". La mamma precisa che la differenza fra i due fratelli è solo nel fatto che Diego sia mancino e Hugo destro. Sarà, ma se a 18 anni Maradona Senior segnava a valanga nell'Argentinos Juniors e già giocava nella nazionale maggiore, Hugo si ritrova con un curriculum piuttosto vuoto. Anch'egli esordisce con l'Argentinos, ma non raccoglie che una manciata di presenze segnando appena una rete. L'unico guizzo internazionale lo regala ai mondiali Under 16 giocati in Cina nel 1985, quando con una doppietta aiuta la Selección a battere il Congo in una sfida che non conterà nulla ai fini della qualificazione. Ma tant'è. Arriviamo al torneo 1987/88, le squadre di Serie A possono tesserare solo 2 stranieri e il Napoli oltre a Diego Maradona ha preso Antonio Careca. "Maradonino" dev'essere parcheggiato, in attesa di tornare alla base l'anno successivo, con l'apertura al terzo straniero. Pisa e Pescara, appena promosse, dicono "no, grazie" all'offerta dei partenopei per prendere il giocatore. A prendersi cura del ragazzotto ci pensa l'Ascoli di Costantino Rozzi. Hugo Maradona diventa così il più giovane straniero della Serie A dal dopoguerra. Ilario Castagner, tecnico dei marchigiani, spende buone parole per lui: "Possiede un ottimo controllo di palla che gli permette dribbling strettissimi e rapidi. Arriva in area in ottime condizioni per il tiro a rete. Sa dare bene anche la palla ai compagni, passaggi millimetrici e smarcanti. E non è male nemmeno il tiro: secco e preciso". Parole importanti, eppure il tecnico sin da subito lo considera una riserva. Hugo fa il suo esordio alla prima di campionato entrando negli ultimi 25' al posto di Domenico Agostini, la settimana dopo gioca mezz'ora al San Paolo nel derby con il fratello Diego. A metà ottobre Castagner gli da la chance da titolare e un numero pesante sulle spalle: il 10. Gioca contro l'Empoli dal 1', ma è un flop. Seconda possibilità due settimane dopo, al Del Duca contro il Verona: altra sostituzione a partita in corso. Terzo e ultimo tentativo ancora in casa questa volta contro il Pisa: bocciato anche qui. Da quel momento saranno solo spezzoni di gara a partita in corso, dove "Maradonino" a parte qualche colpo fine a sé stesso non incide minimamente. L'Ascoli anche senza il suo contributo si salva uguale, l'Italia si rende conto che il giocatore è inadeguato per la Serie A e dopo 13 gettoni di presenza in bianconero il Napoli riesce a piazzarlo in Spagna, al Rayo Vallecano. Una stagione, poi una parentesi in Austria prima di chiudere definitivamente la carriera europea. Dopo un anno in Venezuela si aprono le porte del campionato giapponese. Il tempo anche di una puntatina in Canada, prima di appendere le scarpe al chiodo a soli 28 anni, senza clamori e senza rimpianti, almeno per le squadre italiane.
Hugo Hernán Maradona (Lanús, 9 maggio 1969)
Oggi vi parlerò non di un giocatore qualsiasi che ha avuto poca fortuna in Italia ma di un fratello d'arte, uno dei giocatori più forti visti nel nostro calcio Diego Armando Maradona, ma si sa in una famiglia ad avere i cloni del grande campione può essere uno solo e nella famiglia Maradona non era certo il piccolo Hugo Hernan ma conosciamolo meglio.
Se sei fratello d'arte hai vita dura a prescindere. Se sei il fratello del calciatore più forte al mondo è ancora peggio. Se in più sei raccomandato dal parente illustre allora hai già perso in partenza la sfida con la diffidenza. E nei confronti di Hugo Maradona era assolutamente legittima. È l'estate del 1987 e Diego Armando Maradona è senza se e senza ma il più grande calciatore in assoluto. Qualche mese prima ha portato il Napoli a vincere il primo storico scudetto e dodici mesi prima ha vinto praticamente da solo il mondiale. Il credito nei confronti del Napoli è tale che riesce a far sì che il club partenopeo acquisti il fratellino Hugo, all'epoca diciottenne. Di lui Diego spende parole importanti: "Diventerà più forte di me". La mamma precisa che la differenza fra i due fratelli è solo nel fatto che Diego sia mancino e Hugo destro. Sarà, ma se a 18 anni Maradona Senior segnava a valanga nell'Argentinos Juniors e già giocava nella nazionale maggiore, Hugo si ritrova con un curriculum piuttosto vuoto. Anch'egli esordisce con l'Argentinos, ma non raccoglie che una manciata di presenze segnando appena una rete. L'unico guizzo internazionale lo regala ai mondiali Under 16 giocati in Cina nel 1985, quando con una doppietta aiuta la Selección a battere il Congo in una sfida che non conterà nulla ai fini della qualificazione. Ma tant'è. Arriviamo al torneo 1987/88, le squadre di Serie A possono tesserare solo 2 stranieri e il Napoli oltre a Diego Maradona ha preso Antonio Careca. "Maradonino" dev'essere parcheggiato, in attesa di tornare alla base l'anno successivo, con l'apertura al terzo straniero. Pisa e Pescara, appena promosse, dicono "no, grazie" all'offerta dei partenopei per prendere il giocatore. A prendersi cura del ragazzotto ci pensa l'Ascoli di Costantino Rozzi. Hugo Maradona diventa così il più giovane straniero della Serie A dal dopoguerra. Ilario Castagner, tecnico dei marchigiani, spende buone parole per lui: "Possiede un ottimo controllo di palla che gli permette dribbling strettissimi e rapidi. Arriva in area in ottime condizioni per il tiro a rete. Sa dare bene anche la palla ai compagni, passaggi millimetrici e smarcanti. E non è male nemmeno il tiro: secco e preciso". Parole importanti, eppure il tecnico sin da subito lo considera una riserva. Hugo fa il suo esordio alla prima di campionato entrando negli ultimi 25' al posto di Domenico Agostini, la settimana dopo gioca mezz'ora al San Paolo nel derby con il fratello Diego. A metà ottobre Castagner gli da la chance da titolare e un numero pesante sulle spalle: il 10. Gioca contro l'Empoli dal 1', ma è un flop. Seconda possibilità due settimane dopo, al Del Duca contro il Verona: altra sostituzione a partita in corso. Terzo e ultimo tentativo ancora in casa questa volta contro il Pisa: bocciato anche qui. Da quel momento saranno solo spezzoni di gara a partita in corso, dove "Maradonino" a parte qualche colpo fine a sé stesso non incide minimamente. L'Ascoli anche senza il suo contributo si salva uguale, l'Italia si rende conto che il giocatore è inadeguato per la Serie A e dopo 13 gettoni di presenza in bianconero il Napoli riesce a piazzarlo in Spagna, al Rayo Vallecano. Una stagione, poi una parentesi in Austria prima di chiudere definitivamente la carriera europea. Dopo un anno in Venezuela si aprono le porte del campionato giapponese. Il tempo anche di una puntatina in Canada, prima di appendere le scarpe al chiodo a soli 28 anni, senza clamori e senza rimpianti, almeno per le squadre italiane.
domenica 21 aprile 2013
Esnáider:Il pugile che sbagliò mestiere
Esnáider:Il pugile che sbagliò mestiere
Juan Eduardo Esnáider (Mar del Plata, 5 marzo 1973)
Oggi parleremo di un buon giocatore, dove in altri campionati sicuramente ha fatto discreti prestazioni, ma arrivato in Italia per sostituire nientemeno che sua Maestà Del Piero alla Juventus non è riuscito ad imporsi come tutti avrebbero voluto, sarà forse stato il peso di prendere sulle spalle un eredità troppo pesante, d'altronde in quel frangente che fece crack Del piero venne acquistato anche un certo Henry, anche lui non riusciì ad esprimersi al massimo,in quella squadra che andò allo sbando subito dopo il grave infortunio del suo uomo simbolo,finendo il campionato in una posizione di classifica tra le peggiori della storia della signora.
Ma conosciamolo meglio,debuttò tra i professionisti con il Ferro Carril Oeste il 2 settembre 1990 contro il Vélez Sársfield. Col club argentino giocò 6 partite.
Juan Eduardo Esnáider (Mar del Plata, 5 marzo 1973)
Oggi parleremo di un buon giocatore, dove in altri campionati sicuramente ha fatto discreti prestazioni, ma arrivato in Italia per sostituire nientemeno che sua Maestà Del Piero alla Juventus non è riuscito ad imporsi come tutti avrebbero voluto, sarà forse stato il peso di prendere sulle spalle un eredità troppo pesante, d'altronde in quel frangente che fece crack Del piero venne acquistato anche un certo Henry, anche lui non riusciì ad esprimersi al massimo,in quella squadra che andò allo sbando subito dopo il grave infortunio del suo uomo simbolo,finendo il campionato in una posizione di classifica tra le peggiori della storia della signora.
Ma conosciamolo meglio,debuttò tra i professionisti con il Ferro Carril Oeste il 2 settembre 1990 contro il Vélez Sársfield. Col club argentino giocò 6 partite.
Nel 1991 partecipò al Mondiale Under-20 disputato in Portogallo. In questa competizione aggredì in campo un avversario e ricevette una squalifica internazionale di un anno. Fu acquistato dal Real Madrid nel 1991, che lo fece crescere inizialmente nella squadra satellite del Real Madrid B. In Segunda División realizzò 18 gol in 44 partite ma di fatto non riuscì mai ad imporsi concretamente in prima squadra, segnando complessivamente 2 gol in 28 partite nelle file della squadra madrilena.
Trovando poco spazio al Real Madrid, fu ceduto al Real Saragozza, con cui vinse la Coppa del Re 1993-1994 e la Coppa delle Coppe 1994-1995, segnando una rete in finale e diventando capocannoniere del torneo.
Il Real Madrid quindi lo comprò di nuovo, ma dopo poco tempo passò all'Atlético de Madrid, dove ebbe un buon rendimento rovinato dalle sue pessime relazioni con il tecnico Radomir Antić che lo portarono ad abbandonare il club l'anno dopo per trasferirsi all'Espanyol. Una volta, sul pullman della squadra di Barcellona, prese a pugni il compagno di squadra Miguel Ángel Benítez perché aveva attaccato i compagni in pubblicO
Dopo due scudetti consecutivi, la Juventus si appresta ad affrontare la stagione 1998/99 da favorita d'obbligo. D'altronde con un Alessandro Del Piero fresco del boom nella stagione precedente, con 22 reti segnate, puoi star tranquillo. E poi Inzaghi, subito importante al primo anno in una big. E Zidane, fresco campione del mondo. Eppure i bianconeri dopo una buona partenza vanno a singhiozzo. La stagione prende una piega completamente diversa e l'8 novembre Del Piero al 92° della partita contro l'Udinese si infortuna gravemente al ginocchio sinistro. La diagnosi è impietosa: stagione finita. La Juventus deve correre ai ripari, anche perché con i soli Inzaghi e Fonseca non si possono affrontare 3 competizioni.
Arrivano due giocatori: l primo è un francese giovane, 21 anni, campione del mondo con la Francia: Thierry Henry. Il secondo è un giocatore ben più navigato, che solo tre anni prima aveva contribuito in maniera decisiva far vincere la Coppa delle Coppe al Saragoza: Juan Eduardo Esnaider. L'argentino in verità, dopo l'exploit in Aragona ha già avuto le sue chances nelle big, facendo decisamente male. Al Real Madrid è un disastro, riesce nell'impresa di segnare appena un gol in 20 partite. Ma si sa, un anno può andar male. E infatti l'anno dopo con la maglia dei cugini dell'Atletico si riprende. E anche all'Espanyol il suo lo fa. Così Moggi rompe gli indugi e a gennaio del 1999 lo acquista, sperando che tra lui ed Henry il buco lasciato da Del Piero possa essere colmato.
Esordisce giocando i secondi 45' contro il Venezia: non giudicabile. Le vere prove si vedono successivamente, quando Lippi lo lancia titolare. Il tecnico gli dà fiducia contro Perugia e Cagliari, l'argentino gioca 90' in entrambe le sfide e non combina nulla. Le gare seguenti la pazienza del tecnico inizia a scemare, complice una situazione non semplice dei bianconeri. È nell'undici titolare il 7 febbraio, quando la Juve cade a Torino sotto i colpi del Parma, costringendo Lippi alle dimissioni. Al posto del tecnico di Viareggio arriva Carlo Ancelotti, che insiste inizialmente anche lui su Esnaider. L'attaccante è un corpo estraneo alla squadra: abulico, lento, mai pericoloso. Ad aprile la pazienza è già esaurita e dopo aver giocato in maniera pessima i primi 45' contro l'Empoli Ancelotti lo toglie e non lo schiererà più titolare. A fine stagione collezionerà 10 presenze, senza nemmeno la soddisfazione di un gol. Resterà anche la stagione seguente, ma il suo contributo sarà limitato ai minimi termini: 6 presenze, di cui 5 d subentrato, quasi sempre per giocare gli ultimi 5 minuti di gara. Una vera umiliazione, che può bastare per fargli dire addio a fine stagione. Andrà al Porto, prima di pellegrinare tra Argentina, Francia e Spagna. La Juventus, ironia del destino, riprenderà di nuovo a vincere.
NOTIZIA DEGLI ULTIMI MESI PURTROPPO, ESNAIDER è TORNATO ALLA RIBALTA STAVOLTA NON PER LE SUE VICENDE SUL CAMPO, MA PER LA TRAGICA MORTE DEL FIGLIO DI 17 ANNI FERNANDO ARRESOSI DOPO UNA LUNGA MALATTIA,TUTTI NOI DELLA TESTATA SIAMO VICINI AL DOLORE CHE HA COLPITO LO SFORTUNATO JUAN EDUARDO ESNAIDER PER LA IMPROVVISA SCOMPARSA DEL FIGLIO FERNANDO.
domenica 14 aprile 2013
Karic:La fotocopia di Boksic
Karic:La fotocopia di Boksic
Veldin Karić (Slavonski Brod, 16 novembre 1973)
Oggi vi parlerò di un giocatore croato arrivato al Torino nell'anno in cui questa nobile decaduta è iniziato il declino verso le zone più basse della sua storia, una società presa di mira da fantomatici presidenti,portando questa squadra che fu di Valentino Mazzola(il grande Torino) e poi di Zaccarelli sui campi più impensabili dell'Italia(Castel di Sangro,Gallipoli,Castellammare di Stabia Portogruaro ecc...) togliendo la dignità che pian piano con l'avvento di Cairo si sta ristabillendo, ma ricordiamo e dall'anno 1995/96 che questa squadra non riesce a rientrare nelle zone alte della classifica, dove sicuramente gli compete.
Dicevamo partì male il campionato del Toro con l'acquisto del Turco Hakan Sukur di cui già vi ho parlato,preso come colpo dell'estate e rispedito al mittente dopo solo 5 gare disputate, la nostalgia lo richiamava, troppo giovane per allontanarsi da casa, ma anche quando fu maturo non è che era tanto adatto ad altri campionati, facendo la fortuna soltanto nella sua Turchia.
Dopo la gugace avventura del Turco il Toro pensò bene di prendere un promessa del calcio croato,Veldin Karic sbucò dal nulla, in effetti: poco movimento e utilità irrisoria per la manovra per la sua squadra facevano di lui un ottimo erede del turco. Non a caso, il suo fu un acquisto low-cost: poco più di 100 milioni al Marsonia e appena 50 di ingaggio per l’attaccante, che però, venendo dalla guerra, quella che ha ha dilaniato l'ex Jugoslavia, per lui suonavano come miliardi. E se chiunque avrebbe sdegnosamente rifiutato la “splendida” Golf vecchia di dieci anni che la società gli mise a disposizione per la propria mobilità, Karic credeva di viaggiare con una Cadillac nuova fiammante: bastava poco per un giovanotto che aveva passato molte sofferenze, tra cui il famigerato campo profughi che aveva duramente segnato il suo volto. Di origine bosniaca, questo musulmano dai capelli lunghi fu acquistato durante il mercato di riparazione e quindi presentato il 1 Novembre 1995 (quasi in concomitanza con la commemorazione dei defunti, che allegria). In quella tribolata stagione – che si concluse con la retrocessione in Serie B – giocò appena 5 gare segnando un solo gol in un Bari-Torino terminato 2-2, dimostrandosi anch’esso, come il suo (illustre?) predecessore, inadatto ai ritmi del calcio italiano. Una curiosità: giocò le stesse partite e segnò una sola rete, e proprio contro i “galletti”, esattamente come Hakan. Se il loro rendimento in granata fu quasi perfettamente identico, diversa fu l’esecuzione: rete di testa per il turco, rasoterra sinistro per il croato. Con il Bari vittima sbeffeggiata. Dopo la retrocessione, ancora sotto contratto, venne spedito nella vicina Svizzera, al modesto Lugano. L’estate seguente, quella del 1997, fu nuovamente impacchettato e mandato allo Stoccarda, in Germania. Nell’Agosto del 1998, ritornato dall’ennesimo prestito, fu nuovamente girato all’estero, al Varteks, nella Serie A croata. Giocò anche tre gare con la Nazionale della Croazia, ma nel 2003 fu multato e sospeso dal Varteks dopo che si rifiutò di giocare una partita di Coppa. Aveva forse preso coscienza della sua carenza di mezzi tecnici? Del resto, non è che provenisse da squadre blasonate: il suo manager, Naie Naletilic, definì il Marsonia di Slavonsky Brad, “una specie di Cremonese”. Con il Torino in Serie B, la sua presenza era divenuta ingombrante: la sua cessione definitiva liberò un posto per un extracomunitario, che però venne occupata da un’altra mezza figura, l’uruguayano Gaglianone. Per i granata è stato come passare dalla padella alla brace.
ecco alcune dichiarazioni al suo arrivo dal compianto professore Scoglio:«Assomiglia un po’ a Boksic, ha qualita’ notevoli e tocca a me saperle esaltare. Lui deve metterci attenzione e partecipazione e, soprattutto, capire che non e’ un esule ne’ un corpo estraneo»e ancora:«E’ piu’ potente ma ha meno senso tattico di Fontolan. Il croato ha qualita’ tecniche interessantissime, con enormi margini di miglioramento e, utilizzato in uno schema fondato sul 4-4-2, puo’ diventare un grande esterno sulla fascia sinistra. E’ facile pronosticargli, a tempi brevi, una promozione nella sua Nazionale maggiore, magari gia’ ai prossimi Europei inglesi»
La dimostrazione che il professore era un tipo veramente simpatico.
Veldin Karić (Slavonski Brod, 16 novembre 1973)
Oggi vi parlerò di un giocatore croato arrivato al Torino nell'anno in cui questa nobile decaduta è iniziato il declino verso le zone più basse della sua storia, una società presa di mira da fantomatici presidenti,portando questa squadra che fu di Valentino Mazzola(il grande Torino) e poi di Zaccarelli sui campi più impensabili dell'Italia(Castel di Sangro,Gallipoli,Castellammare di Stabia Portogruaro ecc...) togliendo la dignità che pian piano con l'avvento di Cairo si sta ristabillendo, ma ricordiamo e dall'anno 1995/96 che questa squadra non riesce a rientrare nelle zone alte della classifica, dove sicuramente gli compete.
Dicevamo partì male il campionato del Toro con l'acquisto del Turco Hakan Sukur di cui già vi ho parlato,preso come colpo dell'estate e rispedito al mittente dopo solo 5 gare disputate, la nostalgia lo richiamava, troppo giovane per allontanarsi da casa, ma anche quando fu maturo non è che era tanto adatto ad altri campionati, facendo la fortuna soltanto nella sua Turchia.
Dopo la gugace avventura del Turco il Toro pensò bene di prendere un promessa del calcio croato,Veldin Karic sbucò dal nulla, in effetti: poco movimento e utilità irrisoria per la manovra per la sua squadra facevano di lui un ottimo erede del turco. Non a caso, il suo fu un acquisto low-cost: poco più di 100 milioni al Marsonia e appena 50 di ingaggio per l’attaccante, che però, venendo dalla guerra, quella che ha ha dilaniato l'ex Jugoslavia, per lui suonavano come miliardi. E se chiunque avrebbe sdegnosamente rifiutato la “splendida” Golf vecchia di dieci anni che la società gli mise a disposizione per la propria mobilità, Karic credeva di viaggiare con una Cadillac nuova fiammante: bastava poco per un giovanotto che aveva passato molte sofferenze, tra cui il famigerato campo profughi che aveva duramente segnato il suo volto. Di origine bosniaca, questo musulmano dai capelli lunghi fu acquistato durante il mercato di riparazione e quindi presentato il 1 Novembre 1995 (quasi in concomitanza con la commemorazione dei defunti, che allegria). In quella tribolata stagione – che si concluse con la retrocessione in Serie B – giocò appena 5 gare segnando un solo gol in un Bari-Torino terminato 2-2, dimostrandosi anch’esso, come il suo (illustre?) predecessore, inadatto ai ritmi del calcio italiano. Una curiosità: giocò le stesse partite e segnò una sola rete, e proprio contro i “galletti”, esattamente come Hakan. Se il loro rendimento in granata fu quasi perfettamente identico, diversa fu l’esecuzione: rete di testa per il turco, rasoterra sinistro per il croato. Con il Bari vittima sbeffeggiata. Dopo la retrocessione, ancora sotto contratto, venne spedito nella vicina Svizzera, al modesto Lugano. L’estate seguente, quella del 1997, fu nuovamente impacchettato e mandato allo Stoccarda, in Germania. Nell’Agosto del 1998, ritornato dall’ennesimo prestito, fu nuovamente girato all’estero, al Varteks, nella Serie A croata. Giocò anche tre gare con la Nazionale della Croazia, ma nel 2003 fu multato e sospeso dal Varteks dopo che si rifiutò di giocare una partita di Coppa. Aveva forse preso coscienza della sua carenza di mezzi tecnici? Del resto, non è che provenisse da squadre blasonate: il suo manager, Naie Naletilic, definì il Marsonia di Slavonsky Brad, “una specie di Cremonese”. Con il Torino in Serie B, la sua presenza era divenuta ingombrante: la sua cessione definitiva liberò un posto per un extracomunitario, che però venne occupata da un’altra mezza figura, l’uruguayano Gaglianone. Per i granata è stato come passare dalla padella alla brace.
ecco alcune dichiarazioni al suo arrivo dal compianto professore Scoglio:«Assomiglia un po’ a Boksic, ha qualita’ notevoli e tocca a me saperle esaltare. Lui deve metterci attenzione e partecipazione e, soprattutto, capire che non e’ un esule ne’ un corpo estraneo»e ancora:«E’ piu’ potente ma ha meno senso tattico di Fontolan. Il croato ha qualita’ tecniche interessantissime, con enormi margini di miglioramento e, utilizzato in uno schema fondato sul 4-4-2, puo’ diventare un grande esterno sulla fascia sinistra. E’ facile pronosticargli, a tempi brevi, una promozione nella sua Nazionale maggiore, magari gia’ ai prossimi Europei inglesi»
La dimostrazione che il professore era un tipo veramente simpatico.
giovedì 11 aprile 2013
Darko Pančev:Il cobra senza veleno
Darko Pančev:Il cobra senza veleno
Darko Pančev (Skopje, 7 settembre 1965)
Ecco oggi parliamo uno dei tantissimi giocatori bidoni acquistati dall'Inter che ci donato tantissimi giocatori non all'altezza della situazione per una maglia gloriosa qual'è quella nerazzurra, sicuramente questa squadra è stata bersagliata da tantissimi dirigenti non all'altezza della situazione, e per via di questi giocatori che la squadra nerazzurra ha dovuto per molti campionati arrancare nelle posizioni più modeste della classifica, poi con l'arrivo del presidente Moratti addirittura si sono visti persino giocatori al quanto imbarazzanti, ma questo che parliamo oggi non è un prodotto dell'era Moratti.
Pancev, attaccante puro, esordì nella locale squadra del Vardar nella stagione 1982/83, e lì restò fino al 1988, anno in cui fu acquistato dalla Stella Rossa di Belgrado. In quella squadra giocò quattro anni, arrivando a vincere nel 1991 la Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale, oltre a segnare qualcosa come 84 gol. Un dato impressionante. L’Inter, in crisi nel reparto offensivo, optò per l’acquisto del centravanti slavo, che arrivò così a Milano per 14 miliardi di Lire allo scopo di rinforzare un organico così composto (la seguente è una formazione-tipo del 1992): Zenga, Bianchi, Bergomi, Battistini, Ferri, De Agostini, Shalimov, Sammer, Berti, Schillaci e... Pancev. Osvaldo Bagnoli disse di lui: «Dite che con Pancev bisogna avere pazienza perché è macedone? Sarà... ma io sono della Bovisa e non sono mica un pirla!». Difficile dargli torto: in 12 presenze, Darko segnò la bellezza di un misero gol, ma in compenso furono tanti e clamorosi quelli falliti, alcuni a due metri dalla porta avversaria. I fatti dettero ragione all’allenatore. Ceduto per disperazione al Lipsia, in Germania, nel Gennaio del 1994, tornò in Italia la stagione successiva, in tempo per giocare fino alla fine del campionato (7 presenze, 2 gol). Finì i suoi giorni (sportivi ovviamente) al Sion, nel 1997. Da quando ha appeso le scarpe al chiodo, si è dedicato all’attività di procuratore, poi ha collaborato con il club locale del Vardar Skopje. E’ stato anche tra i candidati per la carica di allenatore della Nazionale macedone. Nel Luglio del 2007 Platini gli ha consegnato la “Scarpa d’Oro” a lui negata nel 1991: all’epoca la Federazione di Cipro segnalò un giocatore sconosciuto che avrebbe segnato ben 40 gol, ma alla lunga si è scoperto che c’era qualcosa che non andava e quindi, anche se dopo tanto tempo, hanno deciso di premiare chi effettivamente aveva meritato di vincere quest’ambito premio. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Anche se, in ogni caso, in Italia sarà per sempre ricordato come una delle “bufale” più clamorose.
Poco dopo fece alcune dichiarazione riguardante la sua esperienza:«L’Inter è stata il più grande sbaglio della mia vita - si rammarica -, per colpa dell’Italia ho chiuso presto la carriera (smise a 32 anni dopo dimenticabili esperienze al Fortuna Dusseldorf in Germania e al Sion in Svizzera, ndr)». Perché, Darko? «Nel ’91 mi volevano Milan, Barcellona, Manchester United, Real Madrid. Ero l’attaccante più ricercato e finii all’Inter, che praticava un calcio difensivo e mi offriva al massimo due occasioni a partita. Io potevo funzionare in un club con uno stile definito, non all’Inter. Voi mi giudicate "bidone", ma dovreste dire lo stesso di Shevchenko, che al Chelsea non fa più gol perché sta in una squadra che pensa a non prenderle». Pancev come Sheva? Dai, Cobra, ora non esageriamo.
Darko Pančev (Skopje, 7 settembre 1965)
Ecco oggi parliamo uno dei tantissimi giocatori bidoni acquistati dall'Inter che ci donato tantissimi giocatori non all'altezza della situazione per una maglia gloriosa qual'è quella nerazzurra, sicuramente questa squadra è stata bersagliata da tantissimi dirigenti non all'altezza della situazione, e per via di questi giocatori che la squadra nerazzurra ha dovuto per molti campionati arrancare nelle posizioni più modeste della classifica, poi con l'arrivo del presidente Moratti addirittura si sono visti persino giocatori al quanto imbarazzanti, ma questo che parliamo oggi non è un prodotto dell'era Moratti.
Pancev, attaccante puro, esordì nella locale squadra del Vardar nella stagione 1982/83, e lì restò fino al 1988, anno in cui fu acquistato dalla Stella Rossa di Belgrado. In quella squadra giocò quattro anni, arrivando a vincere nel 1991 la Coppa dei Campioni e la Coppa Intercontinentale, oltre a segnare qualcosa come 84 gol. Un dato impressionante. L’Inter, in crisi nel reparto offensivo, optò per l’acquisto del centravanti slavo, che arrivò così a Milano per 14 miliardi di Lire allo scopo di rinforzare un organico così composto (la seguente è una formazione-tipo del 1992): Zenga, Bianchi, Bergomi, Battistini, Ferri, De Agostini, Shalimov, Sammer, Berti, Schillaci e... Pancev. Osvaldo Bagnoli disse di lui: «Dite che con Pancev bisogna avere pazienza perché è macedone? Sarà... ma io sono della Bovisa e non sono mica un pirla!». Difficile dargli torto: in 12 presenze, Darko segnò la bellezza di un misero gol, ma in compenso furono tanti e clamorosi quelli falliti, alcuni a due metri dalla porta avversaria. I fatti dettero ragione all’allenatore. Ceduto per disperazione al Lipsia, in Germania, nel Gennaio del 1994, tornò in Italia la stagione successiva, in tempo per giocare fino alla fine del campionato (7 presenze, 2 gol). Finì i suoi giorni (sportivi ovviamente) al Sion, nel 1997. Da quando ha appeso le scarpe al chiodo, si è dedicato all’attività di procuratore, poi ha collaborato con il club locale del Vardar Skopje. E’ stato anche tra i candidati per la carica di allenatore della Nazionale macedone. Nel Luglio del 2007 Platini gli ha consegnato la “Scarpa d’Oro” a lui negata nel 1991: all’epoca la Federazione di Cipro segnalò un giocatore sconosciuto che avrebbe segnato ben 40 gol, ma alla lunga si è scoperto che c’era qualcosa che non andava e quindi, anche se dopo tanto tempo, hanno deciso di premiare chi effettivamente aveva meritato di vincere quest’ambito premio. Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Anche se, in ogni caso, in Italia sarà per sempre ricordato come una delle “bufale” più clamorose.
Poco dopo fece alcune dichiarazione riguardante la sua esperienza:«L’Inter è stata il più grande sbaglio della mia vita - si rammarica -, per colpa dell’Italia ho chiuso presto la carriera (smise a 32 anni dopo dimenticabili esperienze al Fortuna Dusseldorf in Germania e al Sion in Svizzera, ndr)». Perché, Darko? «Nel ’91 mi volevano Milan, Barcellona, Manchester United, Real Madrid. Ero l’attaccante più ricercato e finii all’Inter, che praticava un calcio difensivo e mi offriva al massimo due occasioni a partita. Io potevo funzionare in un club con uno stile definito, non all’Inter. Voi mi giudicate "bidone", ma dovreste dire lo stesso di Shevchenko, che al Chelsea non fa più gol perché sta in una squadra che pensa a non prenderle». Pancev come Sheva? Dai, Cobra, ora non esageriamo.
domenica 7 aprile 2013
Andreas Andersson:Il biondino che amava i fumetti
Andreas Andersson:Il biondino che amava i fumetti
Andreas Andersson (Stoccolma, 10 aprile 1974)
Oggi parliamo di un altro bidone del Milan, un ragazzo svedese arrivato sotto la madonnina per far vedere il suo valore che mai è riuscito però ad affermarsi, anche perchè quel Milan non era certo una macchina da guerra e forse il biondino svedese ebbe la sfortuna di arrivare al Milan proprio in contemporanea con la crisi della squadra rossonera ma conosciamolo meglio.
Andreas Andersson nasce il 10 Aprile 1974 a Nacka, sobborgo di Stoccolma, e inizia a giocare a calcio nel piccolissimo club dell'Hova, quinta divisione svedese, là dove non arrivano né taccuini né telecamere. Dopo quattro anni di gavetta, nel 1994 si trasferisce al Tidaholms, seconda divisione, dove si consacra definitivamente. Qui nelle prime 9 partite mette a segno 6 reti: una media straordinaria per un semi-esordiente, e ai dirigenti del Degerfors - serie A, finalmente! - tanto basta per prenderlo dopo poche settimane dal suo trasferimento, andando a rinforzare una squadra appena eliminata dalla Coppa delle Coppe per mano del Parma, che poi perderà in finale con l'Arsenal. Insieme ad Andersson arriva anche Olof Mellberg. Il nostro Andreas gioca bene e segna a raffica: su di lui piomba il Liverpool, che lo invita per un provino di una settimana. La sorte vuole che in quei sette giorni sulla cittadina britannica si abbatta uno dei più forti nubifragi di sempre: la pioggia, con l'aggiunta di un infortunio, condiziona le sorti del provino, che dunque non va a buon fine. L'attaccante lascia ugualmente il Degerfors (in due anni, 40 partite giocate e 16 gol all'attivo) e nel 1996 trova l'accordo con il Göteborg. Contemporaneamente, anche la Nazionale svedese si accorge di lui: dopo aver già militato nell'Under 21, il 25 febbraio '96 Andersson fa coincidere il suo esordio con la vittoria per 2-0 contro l'Australia. Con il Göteborg le cose vanno a gonfie vele: la squadra ben figura in campionato e in Champions League, e alla fine della stagione il potente centravanti si ritroverà con un bottino di 31 reti in 39 partite, quasi un record. Ovviamente è sua la palma di capocannoniere del torneo, nonché il titolo di giocatore svedese dell'anno. La sua Nazionale fallisce la qualificazione agli Europei di Inghilterra, ma anche senza questa vetrina il nome di Andreas Andersson fa il giro del mondo e comincia ad entrare nelle cronache di mercato. Se lo aggiudica il Milan, per la cifra tutto sommato abbastanza modica - per quei tempi - di tre miliardi di lire. In realtà lui simpatizza per la Roma, ma fa poca differenza: è un pupillo di Fabio Capello, storicamente attratto dagli attaccanti possenti (qualche anno dopo si innamorerà del connazionale Ibrahimovic e di Diego Tristan). Si sa che anche i grandi allenatori possono avere qualche abbaglio... Andersson si presenta a Milano il 13 Giugno 1997: sostiene le visite mediche, va a cena con Galliani, e poi riparte per la Svezia per godersi le meritate vacanze estive. Il 16 luglio, insieme ai compagni, si mette agli ordini di Fabio Capello; curiosamente, non viene presentato in maniera ufficiale alla stampa. Scontata la sua prima dichiarazione informale: "Felicissimo di giocare in Italia e nel Milan". Confessa poi di aver scelto i rossoneri anche per la presenza del suo amico Jesper Blomqvist, arrivato a gennaio proprio dal Göteborg; per chi non lo ricordasse, il biondo centrocampista svedese fu un'altra meteora di proporzioni colossali, passato successivamente per Parma e - udite udite! - Manchester United. Quando Andersson scopre che la società sta cercando di piazzare a tutti i costi sul mercato il suo amico e unico connazionale, ci rimane un po' male: non sa che il primo a lasciare il club rossonero sarà lui stesso. Il Milan è chiamato a riscattare una stagione, quella 96/97, davvero disastrosa: i meneghini erano arrivati a soli 6 punti dalla retrocessione, pagando scelte di mercato insensate come Cristophe Dugarry e Micheal Reiziger. Nell'estate '97 il primo acquisto è Patrick Kluivert, voluto da Capello per formare una coppia solida con George Weah; in attacco, oltre ad Andersson, c'è anche Maurizio Ganz, preso dall'Inter e partente come riserva. Gli altri reparti abbondano di meteore: solo in difesa Ziege, Nilsen, Cruz, Bogarde e Smoje. La stagione, manco a dirlo, inizia in maniera disastrosa: 2 punti nelle prime 4 partite. La prima vittoria arriva in trasferta contro l'Empoli, e curiosamente coincide con la prima segnatura di Andersson in rossonero: al minuto 23 della ripresa lo svedese gonfia la rete. Sarà questo l'unico gol ufficiale dell'attaccante nella sua breve esperienza italiana. In campionato non gioca quasi mai - Capello gli preferisce un non meno legnoso Kluivert - ma in compenso è titolare in Coppa Italia. Al debutto contro la Reggiana (sedicesimi di finale) è il peggiore in campo, contro la Sampdoria (ottavi) gioca i primi 45 minuti, che si concludono con il risultato di 2-0 per i blucerchiati: poi Weah gli dà il cambio, e il Milan vince 3-2. Fa in tempo poi a partecipare, anche se non nel tabellino marcatori, allo storico 5-0 rifilato all'Inter ai quarti di finale. Per ritrovare un altro gol di Andersson dobbiamo insomma andare a ricercare nelle amichevoli: qualche tifoso rossonero lo ricorderà tra i marcatori nell'8-0 al Ginosa di Puglia, all'Arena di Milano, il 24 ottobre. In quella occasione Galliani afferma: "Per il Milan è il momento peggiore degli ultimi 10 anni". Con buona pace di Carolina Morace, all'epoca opinionista tv su TMC e grande sostenitrice del giocatore, la società a gennaio mette Andersson sul mercato, e subito si scatena una bagarre a suon di miliardi tra Arsenal e Chelsea. Alla fine però se lo accaparra il Newcastle per circa 9 miliardi di lire: una buona plusvalenza, non c'è che dire. Il Milan all'ultimo momento prende al suo posto Pippo Maniero - non proprio un fenomeno, ma ha sempre fatto il suo dovere - e Braida, a chi gli chiede il perché di una coppia d'attacco (Ganz-Maniero) non proprio da Champions League, risponde nervoso: "Solo chi non conosce il calcio può porre la questione in questi termini. La verità è che ad inizio stagione la coppia Kluivert-Weah era considerata, da tutti, come eccellente. Chi poteva prevedere che non avrebbero reso secondo le aspettative?". Già, chi poteva prevedere... Giunto al Newcastle in compagnia della fidanzata Lina Gustavsson, Andersson inizia a sparare a zero - com'è consuetudine - contro la sua ex squadra. Accusa Capello di essere una sorta di "generale di ferro", e di avere imposto allo spogliatoio una disciplina troppo rigida: inoltre gli rimprovera di non avergli mai concesso la possibilità di dimostrare davvero le sue capacità. Ma il passato è passato: il futuro al Newcastle invece sembra roseo, anche perché il feeling con mister Kenny Dalglish è subito molto buono. Il tecnico scozzese è convinto che lo svedese possa inserirsi con rapidità negli spazi creati dalla torre Shearer, osservato speciale dai difensori avversari. Il giocatore, da parte sua, spera di riuscire a riconquistarsi la convocazione in Nazionale: è infatti finito sul banco degli imputati dopo la mancata qualificazione a Francia '98, a scapito di Austria e Scozia. L'esordio in Premier League è datato 1 Febbraio 1998, 2-0 contro l'Aston Villa. Le grandi aspettative, tuttavia, vengono in parte tradite: Andersson in due anni segna solo 4 gol in 27 partite, e il Newcastle - dove milita pure Tomasson, ignaro di fare più o meno la stessa sorte del compagno d'attacco - arranca in classifica. Nella stagione 97/98 finisce tredicesimo, e stesso piazzamento anche l'anno successivo. Per Andersson si profila un ritorno a casa, precisamente all'AIK Stoccolma, club che nella stagione 1999/2000 milita anche in Champions League e viene inserito nello stesso girone della Fiorentina (gli svedesi arrivano ultimi con 1 solo punto all'attivo, conquistato proprio in casa contro i viola, e conquistano la palma di peggior squadra del torneo). Andersson, pagato 2 milioni di sterline, snobbato dalla propria Nazionale - tanto che salterà l'appuntamento con gli Europei del 2000 - a gennaio tenta anche la carta Benfica (una sola rete all'attivo fino a giugno), dopodichè si arrende e ritorna a Stoccolma dove rimane per 3 anni, insieme all'amico Teddy Lucic. Ma il pur blasonato club in quel periodo non si porta a casa neanche un misero trofeo. Nell'estate del 2002 finalmente arriva la grande occasione: coach Soderberg gli concede una chance per i Mondiali di Corea e Giappone, competizione guadagnata anche grazie ad un gol di Andersson, nel match decisivo contro la Turchia durante le qualificazioni. Ma la Svezia, pur passando la fase a gironi alle spalle dell'Inghilterra, viene subito eliminata agli ottavi dalla matricola Senegal: il nostro Andreas, ormai impiegato come ala piuttosto che come punta, viene utilizzato sempre come sostituto in corsa e appare piuttosto evanescente. Si interrompe qui il suo rapporto con la Nazionale: non viene convocato per gli Europei del 2004 a causa dei postumi di un infortunio ai legamenti del ginocchio. In tale occasione il fisioterapista della Nazionale svedese, Anders Vallentin, afferma preoccupato: "E' difficile dire quando rientrerà, perché il danno è grave e vari calciatori hanno dovuto smettere per una situazione del genere". Contrariamente alle previsioni, Andersson si rimette invece in pista, e nonostante l'esclusione dalla competizione europea in estate si reca ugualmente in Portogallo. A sorpresa, infatti, trova l'accordo con il Belenenses, squadra di Lisbona, ma anche qui il feeling con la piazza non è dei migliori. Nel giugno 2005 tenta l'avventura con il Malmöe, ma dura solo un mese: il 1 agosto comunica alla stampa la sua intenzione di lasciare il calcio giocato, a causa dei ripetuti problemi fisici. Entrerà a far parte, dice, dello staff tecnico dell'AIK Stoccolma. Finirà nel dimenticatoio anche in patria, come vi è finito in Italia? Forse, ma gli appassionati di calcio svedese ricorderanno a vita la sua espressione sbigottita nel vedere un bagno chimico cadere su un'auto in cui credeva ci fosse qualcuno. Questo lo scherzo a cui fu sottoposto dallo staff della trasmissione televisiva "Bllasningen" (il nostro "Scherzi a parte"). Roba da morire dal ridere.
Andreas Andersson (Stoccolma, 10 aprile 1974)
Oggi parliamo di un altro bidone del Milan, un ragazzo svedese arrivato sotto la madonnina per far vedere il suo valore che mai è riuscito però ad affermarsi, anche perchè quel Milan non era certo una macchina da guerra e forse il biondino svedese ebbe la sfortuna di arrivare al Milan proprio in contemporanea con la crisi della squadra rossonera ma conosciamolo meglio.
Andreas Andersson nasce il 10 Aprile 1974 a Nacka, sobborgo di Stoccolma, e inizia a giocare a calcio nel piccolissimo club dell'Hova, quinta divisione svedese, là dove non arrivano né taccuini né telecamere. Dopo quattro anni di gavetta, nel 1994 si trasferisce al Tidaholms, seconda divisione, dove si consacra definitivamente. Qui nelle prime 9 partite mette a segno 6 reti: una media straordinaria per un semi-esordiente, e ai dirigenti del Degerfors - serie A, finalmente! - tanto basta per prenderlo dopo poche settimane dal suo trasferimento, andando a rinforzare una squadra appena eliminata dalla Coppa delle Coppe per mano del Parma, che poi perderà in finale con l'Arsenal. Insieme ad Andersson arriva anche Olof Mellberg. Il nostro Andreas gioca bene e segna a raffica: su di lui piomba il Liverpool, che lo invita per un provino di una settimana. La sorte vuole che in quei sette giorni sulla cittadina britannica si abbatta uno dei più forti nubifragi di sempre: la pioggia, con l'aggiunta di un infortunio, condiziona le sorti del provino, che dunque non va a buon fine. L'attaccante lascia ugualmente il Degerfors (in due anni, 40 partite giocate e 16 gol all'attivo) e nel 1996 trova l'accordo con il Göteborg. Contemporaneamente, anche la Nazionale svedese si accorge di lui: dopo aver già militato nell'Under 21, il 25 febbraio '96 Andersson fa coincidere il suo esordio con la vittoria per 2-0 contro l'Australia. Con il Göteborg le cose vanno a gonfie vele: la squadra ben figura in campionato e in Champions League, e alla fine della stagione il potente centravanti si ritroverà con un bottino di 31 reti in 39 partite, quasi un record. Ovviamente è sua la palma di capocannoniere del torneo, nonché il titolo di giocatore svedese dell'anno. La sua Nazionale fallisce la qualificazione agli Europei di Inghilterra, ma anche senza questa vetrina il nome di Andreas Andersson fa il giro del mondo e comincia ad entrare nelle cronache di mercato. Se lo aggiudica il Milan, per la cifra tutto sommato abbastanza modica - per quei tempi - di tre miliardi di lire. In realtà lui simpatizza per la Roma, ma fa poca differenza: è un pupillo di Fabio Capello, storicamente attratto dagli attaccanti possenti (qualche anno dopo si innamorerà del connazionale Ibrahimovic e di Diego Tristan). Si sa che anche i grandi allenatori possono avere qualche abbaglio... Andersson si presenta a Milano il 13 Giugno 1997: sostiene le visite mediche, va a cena con Galliani, e poi riparte per la Svezia per godersi le meritate vacanze estive. Il 16 luglio, insieme ai compagni, si mette agli ordini di Fabio Capello; curiosamente, non viene presentato in maniera ufficiale alla stampa. Scontata la sua prima dichiarazione informale: "Felicissimo di giocare in Italia e nel Milan". Confessa poi di aver scelto i rossoneri anche per la presenza del suo amico Jesper Blomqvist, arrivato a gennaio proprio dal Göteborg; per chi non lo ricordasse, il biondo centrocampista svedese fu un'altra meteora di proporzioni colossali, passato successivamente per Parma e - udite udite! - Manchester United. Quando Andersson scopre che la società sta cercando di piazzare a tutti i costi sul mercato il suo amico e unico connazionale, ci rimane un po' male: non sa che il primo a lasciare il club rossonero sarà lui stesso. Il Milan è chiamato a riscattare una stagione, quella 96/97, davvero disastrosa: i meneghini erano arrivati a soli 6 punti dalla retrocessione, pagando scelte di mercato insensate come Cristophe Dugarry e Micheal Reiziger. Nell'estate '97 il primo acquisto è Patrick Kluivert, voluto da Capello per formare una coppia solida con George Weah; in attacco, oltre ad Andersson, c'è anche Maurizio Ganz, preso dall'Inter e partente come riserva. Gli altri reparti abbondano di meteore: solo in difesa Ziege, Nilsen, Cruz, Bogarde e Smoje. La stagione, manco a dirlo, inizia in maniera disastrosa: 2 punti nelle prime 4 partite. La prima vittoria arriva in trasferta contro l'Empoli, e curiosamente coincide con la prima segnatura di Andersson in rossonero: al minuto 23 della ripresa lo svedese gonfia la rete. Sarà questo l'unico gol ufficiale dell'attaccante nella sua breve esperienza italiana. In campionato non gioca quasi mai - Capello gli preferisce un non meno legnoso Kluivert - ma in compenso è titolare in Coppa Italia. Al debutto contro la Reggiana (sedicesimi di finale) è il peggiore in campo, contro la Sampdoria (ottavi) gioca i primi 45 minuti, che si concludono con il risultato di 2-0 per i blucerchiati: poi Weah gli dà il cambio, e il Milan vince 3-2. Fa in tempo poi a partecipare, anche se non nel tabellino marcatori, allo storico 5-0 rifilato all'Inter ai quarti di finale. Per ritrovare un altro gol di Andersson dobbiamo insomma andare a ricercare nelle amichevoli: qualche tifoso rossonero lo ricorderà tra i marcatori nell'8-0 al Ginosa di Puglia, all'Arena di Milano, il 24 ottobre. In quella occasione Galliani afferma: "Per il Milan è il momento peggiore degli ultimi 10 anni". Con buona pace di Carolina Morace, all'epoca opinionista tv su TMC e grande sostenitrice del giocatore, la società a gennaio mette Andersson sul mercato, e subito si scatena una bagarre a suon di miliardi tra Arsenal e Chelsea. Alla fine però se lo accaparra il Newcastle per circa 9 miliardi di lire: una buona plusvalenza, non c'è che dire. Il Milan all'ultimo momento prende al suo posto Pippo Maniero - non proprio un fenomeno, ma ha sempre fatto il suo dovere - e Braida, a chi gli chiede il perché di una coppia d'attacco (Ganz-Maniero) non proprio da Champions League, risponde nervoso: "Solo chi non conosce il calcio può porre la questione in questi termini. La verità è che ad inizio stagione la coppia Kluivert-Weah era considerata, da tutti, come eccellente. Chi poteva prevedere che non avrebbero reso secondo le aspettative?". Già, chi poteva prevedere... Giunto al Newcastle in compagnia della fidanzata Lina Gustavsson, Andersson inizia a sparare a zero - com'è consuetudine - contro la sua ex squadra. Accusa Capello di essere una sorta di "generale di ferro", e di avere imposto allo spogliatoio una disciplina troppo rigida: inoltre gli rimprovera di non avergli mai concesso la possibilità di dimostrare davvero le sue capacità. Ma il passato è passato: il futuro al Newcastle invece sembra roseo, anche perché il feeling con mister Kenny Dalglish è subito molto buono. Il tecnico scozzese è convinto che lo svedese possa inserirsi con rapidità negli spazi creati dalla torre Shearer, osservato speciale dai difensori avversari. Il giocatore, da parte sua, spera di riuscire a riconquistarsi la convocazione in Nazionale: è infatti finito sul banco degli imputati dopo la mancata qualificazione a Francia '98, a scapito di Austria e Scozia. L'esordio in Premier League è datato 1 Febbraio 1998, 2-0 contro l'Aston Villa. Le grandi aspettative, tuttavia, vengono in parte tradite: Andersson in due anni segna solo 4 gol in 27 partite, e il Newcastle - dove milita pure Tomasson, ignaro di fare più o meno la stessa sorte del compagno d'attacco - arranca in classifica. Nella stagione 97/98 finisce tredicesimo, e stesso piazzamento anche l'anno successivo. Per Andersson si profila un ritorno a casa, precisamente all'AIK Stoccolma, club che nella stagione 1999/2000 milita anche in Champions League e viene inserito nello stesso girone della Fiorentina (gli svedesi arrivano ultimi con 1 solo punto all'attivo, conquistato proprio in casa contro i viola, e conquistano la palma di peggior squadra del torneo). Andersson, pagato 2 milioni di sterline, snobbato dalla propria Nazionale - tanto che salterà l'appuntamento con gli Europei del 2000 - a gennaio tenta anche la carta Benfica (una sola rete all'attivo fino a giugno), dopodichè si arrende e ritorna a Stoccolma dove rimane per 3 anni, insieme all'amico Teddy Lucic. Ma il pur blasonato club in quel periodo non si porta a casa neanche un misero trofeo. Nell'estate del 2002 finalmente arriva la grande occasione: coach Soderberg gli concede una chance per i Mondiali di Corea e Giappone, competizione guadagnata anche grazie ad un gol di Andersson, nel match decisivo contro la Turchia durante le qualificazioni. Ma la Svezia, pur passando la fase a gironi alle spalle dell'Inghilterra, viene subito eliminata agli ottavi dalla matricola Senegal: il nostro Andreas, ormai impiegato come ala piuttosto che come punta, viene utilizzato sempre come sostituto in corsa e appare piuttosto evanescente. Si interrompe qui il suo rapporto con la Nazionale: non viene convocato per gli Europei del 2004 a causa dei postumi di un infortunio ai legamenti del ginocchio. In tale occasione il fisioterapista della Nazionale svedese, Anders Vallentin, afferma preoccupato: "E' difficile dire quando rientrerà, perché il danno è grave e vari calciatori hanno dovuto smettere per una situazione del genere". Contrariamente alle previsioni, Andersson si rimette invece in pista, e nonostante l'esclusione dalla competizione europea in estate si reca ugualmente in Portogallo. A sorpresa, infatti, trova l'accordo con il Belenenses, squadra di Lisbona, ma anche qui il feeling con la piazza non è dei migliori. Nel giugno 2005 tenta l'avventura con il Malmöe, ma dura solo un mese: il 1 agosto comunica alla stampa la sua intenzione di lasciare il calcio giocato, a causa dei ripetuti problemi fisici. Entrerà a far parte, dice, dello staff tecnico dell'AIK Stoccolma. Finirà nel dimenticatoio anche in patria, come vi è finito in Italia? Forse, ma gli appassionati di calcio svedese ricorderanno a vita la sua espressione sbigottita nel vedere un bagno chimico cadere su un'auto in cui credeva ci fosse qualcuno. Questo lo scherzo a cui fu sottoposto dallo staff della trasmissione televisiva "Bllasningen" (il nostro "Scherzi a parte"). Roba da morire dal ridere.
venerdì 5 aprile 2013
Dragan Stojković:Non riusciì ad essere Romeo
Dragan Stojković:Non riusciì ad essere Romeo
Dragan Stojković ( 3 marzo 1965) Serbia
Ora parliamo di un giocatore arrivato nella città di Romeo e Giulietta agli inizi anni 90, un ragazzo che aveva impressionato nella sua nazionale, quando ancora si chiamava Jugoslavia, persino un certo Savicevic era al suo cospetto il secondo giocatore della nazione, un attacante rapido, dotato di una grande visione di gioco ma soprattutto un senso del gol come pochi,sicuramente era uno degli astri nascenti del calcio,purtroppo i continui infortuni ne hanno pesantemente condizionato la carriera,soprattutto nel nostro campionato arrivato dopo un grave infortunio.
Ma conosciamolo meglio l'ex promessa della Stella Rossa,Dragan, per gli amici Pixie, come il topolino del celebre cartone animato, come molti slavi ha grande estro. Il suo però è di parecchio superiore alla media, esordisce nemmeno maggiorenne nel Radnički e poi a 21 anni passa allo Stella Rossa, principale squadra del paese. Sin dalla prima stagione si dimostra un crack: 17 reti il primo anno, poi 15, 12 e 10. Fa incetta di titoli, vince per due volte il premio come miglior jugoslavo dell'anno, trascina i suoi al titolo. Siamo nell'autunno 1988 e in Coppa dei Campioni lo Stella Rossa viene sorteggiato per il secondo turno col Milan. All'andata a San Siro segna la rete dell'illusorio 1-0, prima che Virdis pareggi immediatamente. Il ritorno al Marakana di Belgrado passerà alla storia per la nebbia provvidenziale che salverà il Milan da una certa eliminazione. Si rigioca il giorno dopo, il Milan va avanti con van Basten e ancora lui, Dragan Stojkovic colpisce: è 1-1 e partita che verrà decisa ai rigori e vinta dalla squadra di Sacchi.
Nell'estate del 1990 gli italiani possono ammirare ancora il numero 10, che ai mondiali trascina la Jugoslavia ai quarti di finale: memorabile la doppietta con la quale spazza via la favorita Spagna. La rassegna iridata lo porta ad essere ingaggiato a suon di franchi dal Marsiglia di Bernard Tapie. Ed ecco che la tappa francese sarà decisiva, in modo negativo, anche per quello che succederà in Italia: Stojkovic si infortuna gravemente al ginocchio, viene operato, salta gran parte del torneo, collezionando appena 11 presenze. A fine stagione il Marsiglia, che intanto può sfoggiare grandi campioni, decide di poter fare a meno del serbo, fiutando probabilmente come l'infortunio subito ne abbia definitivamente condizionato il rendimento. Il Verona nell'estate del 1991 ritorna in Serie A dopo un anno di purgatorio: il giovane presidente Stefano Mazzi decide di fare un regalo ai tifosi scaligeri sganciando ben 10 miliardi di lire e portando in Veneto il grande fantasista. Con lui dietro la promessa Florin Raducioiu e la rivelazione dell'anno prima Claudio Lunini i tifosi sognano. Invece va a finire come i dirigenti marsigliesi avevano immaginato: il giocatore è costante vittima di infortuni, sta a lungo fermo ai box. Cade, si rialza e ricade. Quando gioca non incanta, ha l'occasione di sbloccarsi sotto rete calciando i rigori ma riesce a sbagliarne due su due. Alla fine segna un gol, a stagione praticamente compromessa, contro l'Ascoli. Come se non bastasse oltre a Stojkovic sono ben altri a fallire, come lo stesso Raducioiu, capocannoniere della serie "Questo lo segnavo anch'io" riservato ai giocatori capaci di mangiarsi il maggior numero di facili occasioni da gol. Il Verona torna mestamente in Serie B e oltre il danno esce fuori la beffa. Sì, perché gli scaligeri prima di prendere Stojkovic avevano in mano un giovane argentino che sarebbe costato in tutto tre miliardi. Affare che non si fece più perché all'epoca si potevano tesserare solo tre stranieri e con lo svedese Prytz già in rosa e il rumeno Raducioiu già preso per il terzo posto si scelse il campione affermato Dragan Stojkovic al posto della scommessa argentina. Il presidente Mazzi dichiarò ai giornali dell'epoca: "Avevamo in mano il contratto, mancava solo la firma. Ma non era ancora quello che poi ha fatto meraviglie alla Coppa America". Il giocatore in questione si chiamava Gabriel Omar Batistuta, che da lì a poco sarebbe diventato proprio il capocannoniere della manifestazione sudamericana, facendo innamorare i Cecchi Gori che lo portarono a Firenze.
Dopo quella disgraziata stagione per il Verona di Fascetti, chiusa con una brutta retrocessione anche ilo serbo venne rispedito al mittente torno in quel Marsiglia che riuscii nell'impresa di battere il Milan nella finale di coppa campionie l'anno dopo esattamente nella primavera del 1994 si trasferiì in Giappone,firmò per il Nagoya Grampus Eight, squadra militante nella J-League, allenato da Arsène Wenger assistito da Gary Lineker. Rimase per sette stagioni con la formazione giapponese per poi ritirarsi dal calcio giocato nel 2001. Con il Grampus Eight Stojković mise a segno 57 gol in 183 partite. Fu nominato MVP della J-League nel 1995.
Stojković totalizzò 84 presenze e 16 gol con le maglie della Jugoslavia e della Serbia-Montenegro. Con la prima giocò ad Euro 84 e alla Coppa del Mondo 1990, con l'ultima giocò alla Coppa del Mondo 1998 e ad Euro 2000. Appena ritiratosi divenne presidente della Federazione calcistica della Serbia e successivamente della Stella Rossa Belgrado.
Dragan Stojković ( 3 marzo 1965) Serbia
Ora parliamo di un giocatore arrivato nella città di Romeo e Giulietta agli inizi anni 90, un ragazzo che aveva impressionato nella sua nazionale, quando ancora si chiamava Jugoslavia, persino un certo Savicevic era al suo cospetto il secondo giocatore della nazione, un attacante rapido, dotato di una grande visione di gioco ma soprattutto un senso del gol come pochi,sicuramente era uno degli astri nascenti del calcio,purtroppo i continui infortuni ne hanno pesantemente condizionato la carriera,soprattutto nel nostro campionato arrivato dopo un grave infortunio.
Ma conosciamolo meglio l'ex promessa della Stella Rossa,Dragan, per gli amici Pixie, come il topolino del celebre cartone animato, come molti slavi ha grande estro. Il suo però è di parecchio superiore alla media, esordisce nemmeno maggiorenne nel Radnički e poi a 21 anni passa allo Stella Rossa, principale squadra del paese. Sin dalla prima stagione si dimostra un crack: 17 reti il primo anno, poi 15, 12 e 10. Fa incetta di titoli, vince per due volte il premio come miglior jugoslavo dell'anno, trascina i suoi al titolo. Siamo nell'autunno 1988 e in Coppa dei Campioni lo Stella Rossa viene sorteggiato per il secondo turno col Milan. All'andata a San Siro segna la rete dell'illusorio 1-0, prima che Virdis pareggi immediatamente. Il ritorno al Marakana di Belgrado passerà alla storia per la nebbia provvidenziale che salverà il Milan da una certa eliminazione. Si rigioca il giorno dopo, il Milan va avanti con van Basten e ancora lui, Dragan Stojkovic colpisce: è 1-1 e partita che verrà decisa ai rigori e vinta dalla squadra di Sacchi.
Nell'estate del 1990 gli italiani possono ammirare ancora il numero 10, che ai mondiali trascina la Jugoslavia ai quarti di finale: memorabile la doppietta con la quale spazza via la favorita Spagna. La rassegna iridata lo porta ad essere ingaggiato a suon di franchi dal Marsiglia di Bernard Tapie. Ed ecco che la tappa francese sarà decisiva, in modo negativo, anche per quello che succederà in Italia: Stojkovic si infortuna gravemente al ginocchio, viene operato, salta gran parte del torneo, collezionando appena 11 presenze. A fine stagione il Marsiglia, che intanto può sfoggiare grandi campioni, decide di poter fare a meno del serbo, fiutando probabilmente come l'infortunio subito ne abbia definitivamente condizionato il rendimento. Il Verona nell'estate del 1991 ritorna in Serie A dopo un anno di purgatorio: il giovane presidente Stefano Mazzi decide di fare un regalo ai tifosi scaligeri sganciando ben 10 miliardi di lire e portando in Veneto il grande fantasista. Con lui dietro la promessa Florin Raducioiu e la rivelazione dell'anno prima Claudio Lunini i tifosi sognano. Invece va a finire come i dirigenti marsigliesi avevano immaginato: il giocatore è costante vittima di infortuni, sta a lungo fermo ai box. Cade, si rialza e ricade. Quando gioca non incanta, ha l'occasione di sbloccarsi sotto rete calciando i rigori ma riesce a sbagliarne due su due. Alla fine segna un gol, a stagione praticamente compromessa, contro l'Ascoli. Come se non bastasse oltre a Stojkovic sono ben altri a fallire, come lo stesso Raducioiu, capocannoniere della serie "Questo lo segnavo anch'io" riservato ai giocatori capaci di mangiarsi il maggior numero di facili occasioni da gol. Il Verona torna mestamente in Serie B e oltre il danno esce fuori la beffa. Sì, perché gli scaligeri prima di prendere Stojkovic avevano in mano un giovane argentino che sarebbe costato in tutto tre miliardi. Affare che non si fece più perché all'epoca si potevano tesserare solo tre stranieri e con lo svedese Prytz già in rosa e il rumeno Raducioiu già preso per il terzo posto si scelse il campione affermato Dragan Stojkovic al posto della scommessa argentina. Il presidente Mazzi dichiarò ai giornali dell'epoca: "Avevamo in mano il contratto, mancava solo la firma. Ma non era ancora quello che poi ha fatto meraviglie alla Coppa America". Il giocatore in questione si chiamava Gabriel Omar Batistuta, che da lì a poco sarebbe diventato proprio il capocannoniere della manifestazione sudamericana, facendo innamorare i Cecchi Gori che lo portarono a Firenze.
Dopo quella disgraziata stagione per il Verona di Fascetti, chiusa con una brutta retrocessione anche ilo serbo venne rispedito al mittente torno in quel Marsiglia che riuscii nell'impresa di battere il Milan nella finale di coppa campionie l'anno dopo esattamente nella primavera del 1994 si trasferiì in Giappone,firmò per il Nagoya Grampus Eight, squadra militante nella J-League, allenato da Arsène Wenger assistito da Gary Lineker. Rimase per sette stagioni con la formazione giapponese per poi ritirarsi dal calcio giocato nel 2001. Con il Grampus Eight Stojković mise a segno 57 gol in 183 partite. Fu nominato MVP della J-League nel 1995.
Stojković totalizzò 84 presenze e 16 gol con le maglie della Jugoslavia e della Serbia-Montenegro. Con la prima giocò ad Euro 84 e alla Coppa del Mondo 1990, con l'ultima giocò alla Coppa del Mondo 1998 e ad Euro 2000. Appena ritiratosi divenne presidente della Federazione calcistica della Serbia e successivamente della Stella Rossa Belgrado.
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