lunedì 1 aprile 2013

Javi moreno:Il topo che perse la strada

                                              Javi moreno:Il topo che perse la strada
Javi Moreno, all'anagrafe Javier Moreno Valera (Silla9 ottobre 1974)
Oggi parleremo uno dei pacchi più pesanti presi dal Milan dell'era Berlusconi, un ragazzo spagnolo che ancora oggi i tifosi rossoneri si chiedono chi lo abbia visionato, ma soprattutto chi lo abbia portato in quella maglia cosi gloriosa, che era del mitico Weah e di tanti altri che sono stati sotto la Madonnina e anche come abbiano fatto i dirigenti a pagarlo a peso d'oro un giocatore cosi,ma conosciamolo meglio.
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Questo fu il misterioso caso di Javi Moreno. Spagnolo di belle speranze, dal girovita piuttosto rotondetto, nacque calcisticamente nelle famosissime giovanili del Barcellona: famosissime ora, visto che a quei tempi non è che sfornassero dei fenomeni. Ed effettivamente Javi Moreno, o “El Raton”, come lo chiamavano i suoi tifosi per via della faccia da ratto delle fogne, non impressionò poi granché i dirigenti blaugrana, tanto da venire scaricato senza mai esordire nella squadra A, già nel lontano ‘96. CordobaYeclanoAlaves (ma solo di passaggio) e Numancia furono le squadre che questo attaccante brutto e panciuto frequentò prima di tornare, stavolta in pianta stabile, all’Alaves. Attaccante, ma solo sulla carta, il “Rattone” era un losco individuo dalle dubbie abitudini alimentari: non esattamente un bomber (qualcosa come 12 gol in 4 anni), già a 17 anni poteva esibire una panza che successivamente Ronaldo gli avrebbe copiato spudoratamente, senza nemmeno un grazie. Brutto come la fame (sensazione che evidentemente il Rattone non aveva mai provato) Javi Moreno era tozzo, tarchiato, lento, stempiato, dotato di occhi vitrei da sorcio, di un naso da strega e di un sorriso così sbilenco e forzato che avrebbe fatto scappare a gambe levate qualsiasi essere dotato di senno. Assolutamente indegno di calcare non solo i verdi prati dei campi di calcio, ma persino quelli del parco dietro casa sua, nel 98, in seguito ad un viaggio a Lourdes, venne inspiegabilmente miracolato: quell’anno, a Numancia, riuscì nell’impresa di segnare ben 18 gol in 39 gare ufficiali. Per non parlare dell’anno successivo, il 2001, quando con l’Alaves (squadra passata all’epoca col soprannome di “Corte dei Miracoli”) rischiò addirittura di vincere la Coppa UEFA in finale col Liverpool. Ma siccome al dio del calcio piace scherzare, ma solo fino ad un certo punto, non bastarono le 6 reti nelle 8 partite europee (di cui ben due in finale, nel giro di 3 minuti) per assicurare a questo sgorbio il suo primo trofeo.


Bastarono però, insieme al titolo di capocannoniere della Liga, per convincere Galliani che il Rattone potesse essere l’acquisto giusto per fare da vice al nuovo arrivato Inzaghi, cosa che oggi potrebbe suonare come una clamorosa bestemmia, ma che all’epoca fu presa seriamente in considerazione. Strappato all’Alaves per la mostruosa cifra di 32 miliardi, con un biennale netto da 5 miliardi a stagione per 3 anni, El Raton divenne rossonero. Persino il Barcellona, interessato a riportare lo sgorbietto a casa (ogni scarrafò è bello a mamma sò), di fronte a tali cifre preferì rispondere con una sonora pernacchia, e fece bene.


Sono molto felice di trovarmi a Milano e di poter giocare nel Milan. Ho scelto questi colori perchè questo è un grande club con grandi ambizioni. Ho preferito l'Italia ad altre soluzioni che mi avrebbero portato ad altri grandi club spagnoli: non ho resistito al fascino del vostro campionato”. Quando Moreno parlava di colori, si riferiva a quello delle lire italiane: Diciamo, infatti, che lo stipendio che gli garantiva il Milan era quasi il doppio di quello che erano disposti a sborsare i catalani, alla faccia del fascino del nostro campionato. L’ultima sua dichiarazione, come di consueto, finirà per rivelarsi un porta sfiga di caratura infernale: “Spero di poter giocare a fianco di Shevchenko e fare molti gol”. Nemmeno il tempo di dirlo, che il povero Pippo finirà in infermeria per tutta la stagione, sostituito da chi? Dal topastro di fogna ovviamente. Pellegatti non oserà mai chiamarlo così, preferendo il soprannome “Topo Gigio”, più sobrio ed elegante, ma questo non cambierà la sostanza: per i tifosi fu letteralmente un dramma vederlo arrancare sinuoso per il campo, col suo pelo nero e ispido, con i dentini di fuori, alla ricerca di un tozzo di formaggio da addentare. Terim, che strano a dirsi lo adorava, non a caso venne rispedito in Turchia a calci in culo, sostituito da Ancelotti, che fu costretto ad utilizzarlo a sprazzi a causa della morìa degli attaccanti rossoneri.


Alla fine furono 9 i gol segnati dal topastro in 27 partite ufficiali: 2 in campionato, 4 in Coppa Italia, 3 in Coppa UEFA. Numeri che potrebbero sembrare non troppo negativi per uno che veniva bollato come portatore sano della peste bubbonica, ma che per questo potrebbero ingannare. I 2 in campionato furono infatti segnati entrambi contro un Venezia totalmente allo sbando, che nonostante tutto era persino riuscito a giocare alla pari coi rossoneri, non meritando il 4-1 finale: in quella partita Javito, dopo la prima marcatura, litigò furiosamente con la curva rossonera, rea di non adorarlo al pari di Van Basten. Sembra ancora di vederlo lì, sul prato, mentre corre e sputacchia parolacce in spagnolo verso i suoi sostenitori, portandosi le mani dietro quelle orecchie enormi e pelose, mostrandole polemico verso un pubblico già abbastanza inorridito. Per poi scusarsi miseramente dopo aver segnato il 2 gol. Ma il pubblico di fede rossonera non era l’unico ad odiarlo: lo spogliatoio l’aveva escluso per via della sua imponderabile scarsezza, del suo ostinarsi a non voler imparare l’italiano e della sua ferrea convinzione di essere un fenomeno. Durante gli allenamento a Milanello, i compagni facevano a gara per azzopparlo, mentre il Topo corricchiava svogliato per i campetti con quella sua pancia ballonzolante ed irritante: ci andò vicino soprattutto Martin Laursen, che passò alla storia per una serie di interventi omicidi con cui bersagliò il poveraccio per un’intera settimana, nel tentativo di fargli saltare il derby della Madonnina. Le altre reti, soprattutto quelle europee, furono inutili ai fini del conseguimento del risultato. L’unica, degna di tale nome, fu la punizione che permise al Milan di sconfiggere per 2-1 la Lazio in Coppa Italia. Proprio in quel periodo Javito venne addirittura convocato dalla nazionale spagnola, con cui arriverà ad esordire pochi giorni dopo. Nonostante questa improvvisa grazia, la dirigenza milanista non ci pensò due volte, ed in estate lo rispedì a calcioni in Spagna.


La destinazione del topastro fu l’Atletico Madrid dell’allora presidente Jesus Gil, ex-politico nonché ex-carcerato di grande fama: in Spagna, i migliori complimenti che venivano spesi per questo grande uomo erano “razzista”, “corrotto”, “sessista”, “omofobo”, “assassino” e “nazista”. Non si sa quali affari legassero il Milan all’Atletico Madrid, ma sta di fatto che la squadra spagnola diventò una colonia di ex-rossoneri a tutti gli effetti: oltre a Moreno, gli spagnoli acquisteranno dal Milan anche AlbertiniJosé MariColoccini Contra. In particolare, suscitò grande curiosità nel mondo del calcio il prezzo che il Milan riuscì a scucire all’Atletico: ben 25 miliardi per un giocatore ampiamente bollito alla tenera età di 27 anni. Una cifra che riuscì bene o male ad indorare quel suppostone grigio-topo costato 32 miliardi solo 12 mesi prima. Inutile sottolineare che Javito non lasciò il segno nemmeno all’Atletico (29 gare in due anni, 5 gol), il quale ci mise poco a sbolognarlo in prestito al Bolton che, per la cronaca, non lo riscatterà nemmeno. L’ultimo club pseudo-prestigioso che provò a puntare su questo topo oramai attempato fu il Saragozza: fu in quell’anno che, durante un’intervista al quotidiano spagnolo AS, Moreno decise di spalare pupù a profusione sul Milan, accusandolo di essere una squadra di dopati. “La Serie A non è pulita come si pensa. Quando ero al Milan giravano strane pillole, ed ho visto con questi occhi più di un giocatore sottoposto a strane flebo negli spogliatoi durante l’intervallo”. Il topastro continuava così: “A Gennaio, contro l’Udinese, doveva giocare Roque Junior, che però si rifiutò di fare una flebo e venne mandato in tribuna, con la minaccia di essere ceduto ad un club minore”. Inutile dire che nessuno lo prese sul serio, anche se queste parole lo fecero diventare un’icona negli ambienti anti-milanisti per eccellenza: il sorcio divenne il paladino degli onesti, taciuto perché portatore di scomode verità, almeno stando a sentire gli interisti, o gli juventini, alle prese con lo scottante caso Davids.


Dopo il Saragozza fu un continuo peregrinare in formazioni semi-professionistiche: CordobaIbizaLucena, ed infine il sacrosanto ritiro dal mondo del calcio. Mondo in cui speriamo non metterà più piede, con le sue zampine pelose e malauguranti. 
fonte:DNAMILAN

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