sabato 30 marzo 2013

Portaluppi:Il Gullit bianco

                                                Portaluppi:Il Gullit bianco
Renato Portaluppi, noto in Brasile come Renato Gaúcho (Guaporé9 settembre 1962)
Adesso parliamo di un giocatore della squadra capitale d'Italia, l'anno che parliamo e del lontano 1988, quando in Italia non esisteva ancora la legge Bosman e al massimo potevano giocare in una squadra italiana 3 stranieri, quindi era molto difficile quei tempi poter sbagliare,in quanto si portavano solo giocatori possibilmente affidabili, con una buona esperienza in campo internazionale e soprattutto dei giocatori affermati nelle loro nazionali, si vedevano accuratamente i giocatori da portare in Italia.
Ahimè la Roma in quell'anno riusciì addirittura a prenderne 2 dal Brasile dei veri e propri flop, Portaluppi e Andrade, ma oggi conosciamo meglio Portaluppi poi nelle prossime rubriche dedicherò una pagina anche all'altro campione mancato.
 Si nasce incendiari, si muore pompieri e questa è la storia di Renato Portaluppi (così lo conosciamo in Italia) o Renato Gaucho (così lo chiamano in Brasile). Renato dodicesimo e penultimo figlio di una famiglia del Rio Grande do Sul, campione che vinse da solo la coppa Intercontinentale del 1983, a Tokio: Gremio-Amburgo 2-1, sua la doppietta vincente. Renato che amava le donne: "Ho avuto centinaia di ragazze - disse un giorno a Playboy -. Ho fatto l’amore al Maracanà e nella toilette dell’aereo che mi portava a Roma". E ancora: "I gay mi facevano la posta all’uscita dagli spogliatoi, cercavano di andare al sodo. Rispetto gli omosessuali, però non rientrano nei miei gusti"
Resterà nel Gremio dal 1982 al 86 con 65 presenze e 15 gol quini si trasferisce al Flamengo nel 1987/88 con 37 partite e 9 gol.
Renato arrivò alla Roma nell’estate del 1988. Capello lungo e bandana stile Rambo, sguardo latino e occhiale scuro. Fece amorosa strage di romane. I tifosi della Magica non persero l’occasione: lo soprannominarono "Pube de oro" per contrapporlo al Pibe de oro, Diego Maradona. Pube, pibe: sottili differenze.
Insomma, quando arrivò a Roma tutto sembrava tranne che un pacco o un bidone… Oddio, forse i primi dubbi potevano e dovevano arrivare subito ai dirigenti e ai tifosi giallorossi presenti ai primi allenamenti della squadra. Renato si presentava sempre allo stesso modo: capelli lunghi con un filino di gel, camicia hawaiana con vista sul crocifisso su petto villoso, bermuda rosso fuoco e il tutto condito da due tre litri di acqua di colonia o profumo. Voglia di lavorare e faticare sul campo? Zero! Meglio finire subito l’allenamento (quando ci andava) e divertirsi con la sempre proverbiale “dolce vita” romana, che sembrava fatta apposta per un brasiliano
In quell’indimenticabile (per lui) 1989 fu sempre circondato da belle ragazze e riuscì a farsi conoscere da tutti i locali notturni della capitale. Per riuscire in questa difficile impresa sfruttava tutte le ore della notte; del resto aveva un fisico eccezionale e rimaneva sobrio anche dopo il terzo gallone di birra… Già, perché la birra era l’altra grande passione del buon Renato Portaluppi! Secondo alcuni fornitori, da solo fece impennare le vendite e i ricavi di bibite alcoliche di tutta Roma; roba da guinness dei primati! Ovviamente abbiamo scherzato, ma del resto per lui il calcio era soltanto un gioco e non riusciva a prenderlo troppo sul serio. In Brasile questo modo di ragionare poteva anche andare bene, in Italia proprio no.
E pensare che la sua stagione romana era anche cominciata bene: le prime gare ufficiali, quelle del girone di Coppa Italia, videro Renato realizzare tre reti nelle prime cinque partite. L’inizio fu incoraggiante, ma il resto, Fisico da culturista, chioma fluente e temperamento assai caliente, Renato si getta a capofitto nella “dolce vita” romana. Tra l’altro, entra nel giro di Maradona e consuma le sue nottate brave tra femmine e droga. Bacco, tabacco e venere: il rendimento sul campo è conseguente, ovvero una pena. In campionato 23 presenze e nessun gol, 3 partite e 1 rete in Coppa Uefa, 6 partite e 3 reti in Coppa Italia. Non contento della propria fama di indomito playboy e nottambulo, si mette in mostra anche per il carattere assai collerico: fa a botte con Daniele Massaro, rilascia interviste polemiche contro il calcio italiano, a un giornale brasiliano confida che un giocatore come Giannini lì non giocherebbe neanche in terza divisione. Insomma, Renato in Italia non si diverte abbastanza (almeno giocando a calcio), non si sente capito, anzi ha la sensazione di subire un boicottaggio.
I tifosi per un po’ lo fischiano e si incazzano, poi passano agli sfottò. All’Olimpico appare uno striscione con la scritta: «A’ Renato, ridacce Cochi». La sua presenza diventa in poco tempo assai ingombrante, pertanto viene rispedito al mittente a fine stagione.
E pensare che aveva indotto in errore persino uno come Nils Liedhom che disse di lui: "è il nuovo Gullit, il Gullit bianco" e anche il presidente Viola che disse:«Renato e’ il primo rinforzo giallorosso di questa stagione, la pietra miliare per un nuovo gioco. Basta con il gioco atletico, soltanto agonistico. Il calcio e’ bello per la fantasia, la classe, e Renato ne e’ uno dei massimi rappresentanti. Con un torello come Rizzitelli vicino e un altro grosso acquisto, la Roma sara’ di nuovo grandissima»
Portaluppi rientrò in Brasile. Flamengo, Botafogo, Cruzeiro, Atletico Mineiro. E Fluminense, dove o Gaucho entrò nel mito per un decisivo e insolito gol. Finale del campionato di Rio del 1995, Flamengo-Fluminense. "Fla-Flu", superclassico carioca. Sui canali satellitari l’azione si rivede di frequente in documentari calcistici: ultimi minuti, tiro-cross da destra e deviazione vincente di Renato con il ventre. Un colpo da odalisca. Flamenghisti attoniti e disperati, fluminensi fuori controllo per la gioia. Le urla dei telecronisti, "Renatoooooo, goooool de barriga (che in portoghese vuol dire pancia, ndr)", e poi Portaluppi inginocchiato che si fa il segno della croce, prega e ringrazia il cielo. Il gol de barriga al Flamengo è diventata un’immagine sacra del calcio brasiliano, come la finta di Garrincha o la bycicleta (rovesciata) di Pelé.
Conta 41 presenze e 5 reti nella Nazionale brasiliana. Partecipò al campionato del mondo 1990.
Ora è allenatore dal 2000: fino al 5 maggio 2001 allenò il Madureira. In seguito fu l'allenatore del Fluminense a due riprese, dal 2 settembre 2002 all'11 luglio2003 e dal 1º ottobre al 28 dicembre 2003. Dal 18 luglio 2005 al 12 aprile 2007 ha guidato il Vasco da Gama.
Dal 24 aprile 2007 al 10 agosto 2008 allenò nuovamente il Fluminense, con cui vinse la Coppa del Brasile, primo titolo della sua carriera da allenatore, il 6 giugno 2007. Nell'edizione 2008 della Coppa Libertadores condusse la Fluminense in finale, dove la squadra fu battuta dalla LDU Quito. Nell'agosto seguente fu esonerato dopo una serie di risultati negativi, culminati nella sorprendente sconfitta contro l'Ipatinga.
Il 18 settembre 2008 è chiamato di nuovo alla guida del Vasco da Gama, ma la squadra retrocede in Série B.(7 dicembre 2008). Il 21 luglio 2009 è tornato per la seconda volta sulla panchina del Fluminense al posto di Carlos Alberto Parreira, esonerato dopo 5 sconfitte consecutive (30 agosto). Il 13 dicembre2009 ha allenato il Bahia per poi passare il 10 agosto al Gremio. Il 5 luglio 2011 è ufficialmente il nuovo tecnico dell'Atletico Paranaense

giovedì 28 marzo 2013

MENDIETA:Il Nedved sbagliato

                                            MENDIETA:Il Nedved sbagliato
Gaizka Mendieta Zabala (Bilbao27 marzo 1974)
Oggi parleremo uno dei flop dell'era Cragnotti, un ragazzo spagnolo arrivato in una delle Lazio più forti da quando è nato il calcio,una squadra in grado di dare spettacolo in Italia ed in Europa, capace di vincere un campionato qualche anno prima a discapito di Milan e Juventus,però i guai per la società di Cragnotti stavano pian piano venendo fuori e stavano iniziando a sbriciolarsi i sogni di gloria della squadra capitolina,per via di una politica di speculazioni di vendita di giocatori pagati a fior di soldi proprio come il giovane di cui andiamo a parlare ora, Gaizka Mendieta, uno stipendio fuori luogo(8 miliardi) per un giocatore che giocò appena 20 partite e quasi sempre sostituito, ma conosciamolo meglio.
Inizia la sua carriera nel Castellon, dove giocherà 16 gare senza segnare nel 1991/92, venendo notato dal Valencia che subito lo porta alla sua corte nel 1992,dove i dirigenti convinti di avere un ottimo giocatore per il futuro, infatti cosi sarà, il ragazzo resterà al Valencia fino al 2001 diventando capitano e vincendo coppa del re e supercoppa spagnola e arrivando a 2 finali di Champions League però perse con Real Madrid e Bayern Monaco, e venne giudicato migliore giocatore della massima competizione europa nel 2000/01.
Nel 2001, dopo essersi messo in mostra in Europa, viene acquistato per 43 milioni di euro dalla Lazio,"La Lazio sarà il mio Real". E' il biglietto da visita di Gaizka Mendieta, il giorno della presentazione a Formello con la maglio della Lazio. E' il luglio del 2001, i cugini hanno appena vinto lo scudetto e Cragnotti è nell'occhio del ciclone dopo le cessioni di Veron e Nedved. Ci vuole un gran colpo per placare gli animi e il gran colpo arriva: il fuoriclasse del Valencia costa al patron della Cirio la cifra record di 90 miliardi di lire. Da capogiro anche l'ingaggio: quinquennale da 8 miliardi a stagione. E' il periodo in cui il calcio non bada a spese. Anche fisicamente Mendieta ricorda Nedved, approdato  quell'anno in bianconero. Il caschetto biondo però si rivelerà l'unico punto di contatto tra i due. Calcisticamente li divide un abisso.
Il Presidente Sergio Cragnotti con il figlio Massimo e il Direttore Sportivo Governato offrirono al Valencia la bellezza di 93 miliardi di Lire (oltre 43 milioni di Euro) per accaparrarselo. I dirigenti della squadra spagnola, per i noti problemi finanziari del club, si convinsero di dover vendere il “pezzo pregiato”: l’offerta della Lazio era troppo allettante per rifiutarla. Però per cedere il centrocampista alla società di Cragnotti, nel contratto di trasferimento riuscirono ad inserire una clausola che impediva, negli anni a venire, di cedere Mendieta al Real Madrid. Se la Lazio non avesse tenuto fede a questa clausola avrebbe dovuto pagare una forte penale. Il contratto da lui firmato fu di durata quinquennale, con un ingaggio di 8 miliardi di Lire netti a stagione.
Il 19 Giugno 2001 è la data del suo arrivo nella Capitale: giunto all’aeroporto, il giocatore basco ha firmato autografi davanti a fotografi e giornalisti dai quali si è lasciato riprendere con la sciarpa biancoceleste. Dopo la firma del contratto e le visite mediche, Mendieta raggiunse i suoi nuovi compagni di squadra e il tecnico Dino Zoff nel ritiro di Riscone di Brunico. Purtroppo, però, il Mendieta che si vedrà in azione a Roma non sarà neanche lontano parente di quello ammirato nel Valencia. E’ stato addirittura al centro di una querelle tra i due club, a causa del mancato pagamento da parte della Lazio della cifra pattuita per il suo trasferimento in riva al Tevere. Ancora adesso i tifosi della Lazio non vogliono più sentirlo nominare. Inquietante il suo rendimento in biancoceleste: 20 presenze, nessun gol e quasi sempre sostituito per indecorose prestazioni. Buon per il Real che il Valencia fece inserire quella clausola, così il pessimo affare lo hanno fatto gli eterni rivali del Barcellona. Ma lo avessero fatto apposta? Nonostante sia stato a lungo nel giro della Nazionale (con la maglia delle “Furie Rosse” ha totalizzato 18 reti in 69 gare), neanche nella successiva esperienza in Inghilterra è riuscito a riprendersi dallo “scotto” capitolino, a conti fatti per lui fatale. 

lunedì 25 marzo 2013

Asanović: Il monumento di Napoli

Aljoša Asanović (Spalato14 dicembre 1965)
                                         Asanović: Il monumento di Napoli
Oggi parliamo di un ragazzo croato arrivato all'ombra del vesuvio nel momento sbagliato della società campana, l'anno orribile di cui parliamo è la stagione 1997/98 quando la squadra partenopea arrivò ultima con soli 14 punti all'attivo, una squadra allo sbando in una stagione davvero disgraziata con tanti allenatori ad avvicendarsi e tanti giocatori,molti dei quali davvero inguardabili, gente come Pedros,Prunier,Crasson,Stojak,Calderon,fecero della gloriosa società che fu di Diego Armando Maradona fino a pochi anni prima,dove dominò in Italia e in europa, una vera e propria barzelletta in quell'anno, giocatori che non sarebbero riusciti a giocare neppure in una modesta squadra di dilettanti, e poi arrivò lui,Asanovic nel mercato di novembre(si in quel periodo il mercato si apriva nel mese di novembre),è arrivò al Napoli nel momento peggiore, infatti il ragazzo era già avanti con l'età(32anni) ma era anche fuori forma e sicuramente non era il caso di puntare su questo giocatore, mettiamoci poi il nuovo campionato che vai ad affrontare, una lingua da imparare in fretta e il gioco è fatto.
Ma conosciamolo meglio,inizia nella sua Croazia,esattamente all Hajiduk Spalato nel 1984 e vi rimarrà fino al 1990 con 116 presenze e 28 reti, poi andrà a giocare per diversi anni in francia prima al Metz poi al Cannes e infine al Montpellier fino al 1994 per poi ritornare in patria ritornando a coprire i colori della squadra che lo lanciò l'Hajiduk nel 1994/95 con 33 presenze e 8 reti, quindi l'anno successivo torna ad uscire dalla Croazia, andando a giocare in Spagna con la maglia del Valladolid dove però per via di un infortunio giocherà poco solo 8 partite e un gol e nel 1996 venne ceduto in Inghilterra al Derby County dove fino al novembre del 1997 giocherà discretamente 39 partite condite da 7 reti, e poi venne acquistato dal Napoli.
Considerato come un centrocampista di qualità e quantità. Sponsorizzato a dovere da Stefano Eranio e Ciccio Baiano (suoi compagni di squadra nel Derby County), fu anche accolto alla grande da Giovanni galeone, tecnico dei partenopei in quello scorcio di stagione, suo grande estimatore da sempre
che disse:«Stiamo parlando d’un signor giocatore. Un gran colpo davvero. Non pensavo che lo si potesse seriamente portare a Napoli»e ancora:«Giovanni Galeone, E’ un fior di calciatore. Si vede gia’ quando tocca la palla che e’ capace di cose straordinarie. E poi ha i tempi naturali del gioco.
Insomma tutti si aspettavano grandi cose da questo giovanotto, per uscire da una brutto avvio di campionato,il giocatore giusto che dia la svolta.
 Un giocatore che poteva (e doveva) migliorare il tasso tecnico della squadra, ma che, a conti fatti, non riuscì nell’impresa, anzi: la situazione dei partenopei, infatti, peggiorò sensibilmente. Nelle 9 partite che seguirono il suo arrivo, il Napoli perse ben 7 incontri, ne pareggiò 2 e non riuscì mai a vincere una gara. Una squadra dimessa e allo sbando, impreziosita (si fa per dire) dall’inserimento ulteriore di un giocatore come Asanovic assolutamente privo di condizione atletica, che è riuscito ad entrare in forma solo a fine campionato, giusto in tempo per fare bella figura ai Mondiali del 1998 con la Nazionale croata. Giocherà quasi sempre, diventando così uno dei simboli di una delle stagioni più umilianti e amare della storia del club: il Napoli arriva ultimo in classifica con appena 14 punti realizzati, con un bilancio di 2 vittorie, 8 pareggi e 24 sconfitte, 25 gol realizzati e ben 76 subiti.E pensare che nella Croazia aveva una discreta reputazione: dal 1990 al 2000 ha raccolto 62 presenze con 4 reti (in precedenza, tra il 1987 e il 1988, giocò 3 gare nella Nazionale della Jugoslavia). Tra l’altro, fu lui a realizzare il primo storico gol dell’allora neonata Nazionale croata, il 17 Ottobre 1990, quando allo stadio “Maksimir” di Zagabria, la Nazionale a scacchi biancorossi s’impose in amichevole sugli Stati Uniti per 2-1.
Dopo mondiale e Napoli giocò ancora un paio di anni in Grecia al Panathinaigos, dove in 2 anni totalizzò 44 partite e 9 gol, ceduto in Austria al Austria Vienna nel 2000 non riuscìì a giocare neppure una partita e chiuse la sua carriera in Australia al Sidney United.


Hakan Şükür:Il triplete dei fallimenti

Hakan al Parma

Hakan al Torino

Hakan all'Inter
Hakan Şükür (Adapazarı1º settembre 1971)
Hakan Şükür:Il triplete dei fallimenti
Oggi parliamo di un ragazzo turco che ha avuto un piccolo record, cioè quella di fallire nel nostro campionato con la maglia di 3 squadre, di solito in Italia è molto difficile dare una seconda chance a un giocatore che che ha giocato male, ma addirittura 3 volte e quasi impossibile, ebbene il signor Sukur è stato data una chance per 3 volte nel nostro campionato e in tutte le occasioni non ha dimostrato il suo valore che aveva dimostrato di avere nella sua Turchia.
Ma conosciamo la carriera di questo giocatore, Cresce calcisticamente nel Sakaryaspor, squadra con cui nel 1987, a 16 anni, debutta in Süper Lig (la prima divisione turca).dal 1987 al 1990 con 39 presenze e 10 reti non male per un giovanissimo, nel 1990 passa al Bursaspor dove colleziona 54 presenze condite da 11 reti, fino al 92 quando è il Galatasaray lo porta alla sua corte vincendo subito campionato, coppa nazionale e supercoppa di lega.
Si ripete l'anno successivo vincendo il campionato ancora con la squadra giallo rossa fino al 1995, dove in 90 presenze ha segnato ben 54 reti e tutto ciò non lo passare inosservato ai migliori club europei, ma la spunta il Torino di Calleri che lo porta sotto la mole per 5 miliardi di lire.

Ed ecco il primo fallimento,il Torino reduce da una buona salvezza nel primo anno della gestione Calleri prova a fare il salto in avanti, puntando a qualcosa di più e, perché no, strizzare l'occhio all'Europa. Restano i pezzi da 90 Angloma, Abedi Pelé e Rizzitelli e la campagna acquisti a occhio sembra buona: in porta arriva Enzo Biato, miglior portiere dell'ultima Serie B a Cesena; terzino sinistro Mauro Milanese, rivelazione l'anno prima con la maglia della Cremonese, il promettente Davide Dionigi e la punta di peso Hakan Sukur, che al Galatasaray ha fatto sfracelli. Il campo dimostrerà ben presto quanto inadeguata sia stata la campagna acquisti. Nessuno ingrana, tanto meno il più atteso Sukur che già in precampionato è in preda a crisi di saudade dalla Turchia. Eppure in campionato non parte malissimo: alla prima in casa contro il Bari colpisce con un perentorio colpo di testa, il Toro vince 3-1 e si pensa a una malinconia passeggera, fino a che non arriverà l'ambientamento nel campionato italiano. E invece no, il giocatore fa di tutto per lasciare Torino. Una sua intervista è eloquente: "voglio tornare a casa" il titolo e il contenuto non lascia dubbi: il triste Hakan confessa che per vincere la malinconia si è sposato quasi in fretta e furia con la fidanzata, Il nostro eroe riesce perfino nell'impresa di avere malinconie culinarie in un paese come il nostro, esprimendo il desiderio di tornare a mangiare niente meno che la polpetta di Sakarya. Tornerà a mangiarne in quantità molto presto: 5 partite totali e Hakan Sukur chiude la sua carriera da perfetta meteora, ricomprato dal Galatasaray.  

Qui ritorna a fare sfracelli infatti dal 1995 al 2000 colleziona una serie interminabili di scudetti,ben 4 consecutive,con Fatih Terim in panchina, tre cppe nazionali, 2 supercoppe di lega e persino trionfò in europa con il Galatasaray dove ebbe la meglio sull'Arsenal, capocannoniere del suo paese per 3 anni di fila, quindi fatto una bella digestione di titoli e trofei ritenta di provare ancora una volta l'avventura Italiana e dimostrare a tutti che quello visto 5 anni prima non era il vero Hakan, mise da parte la malinconia ed era maturo abbastanza per far vedere a tutti il vero Sukur.

In fondo una seconda chance la si dà a tutti e a dargli fiducia è l'Inter orfana di Ronaldo. Sarà lui a dover rimpiazzare il fenomeno(pensate un po) nella sua degenza. L'inizio è terrificante: Inter fuori dalla Champions ai preliminari, riuscendo nell'impresa di non segnare all'Helsingborg. Sukur guida (si fa per dire) l'attacco andando in bianco. Prima di campionato: Reggina-Inter, Sukur titolare e ancora una volta abulico. La Reggina vince a sorpresa e Lippi invita il presidente a prendere a calci nel sedere i giocatori. Qualcosa il centravanti turco la fa: si sblocca a novembre contro la Roma; regala all'Inter una qualificazione ai quarti di finale, decidendo a 2' dalla fine la partita contro l'Hertha Berlino; segna un gol da favola nel derby. Alla fine lo score dice 6 reti in 34 partite totali, l'Inter chiude in quinta posizione e Moratti decide di fare a meno del turco, puntando per l'anno successivo sui giovani Ventola e Kallon. Non soddisfatto Sukur tenta l'avventura a Parma, parte bene e poi chiude nella mediocrità: 3 reti in 16 partite.

Sufficienti per fargli chiudere l'avventura italiana e provare in Inghilterra, al Blackburn. Onde evitare problemi di saudade, sceglie il Blackburn dove gioca l'amico e connazionale Tugay Kerimoğlu. Non basta per evitare una parentesi non certo brillante. Nel 2003 la scelta definitiva: il terzo ritorno al Galatasaray dove si mostra ancora una volta profeta in patria: 5 anni e gol a raffica, oltre ad altri due scudetti. E kili di polpette di Sakarya.
Invece è ottima anche la sua esperienza con la nazionale Turca dove ha segnato 51 gol in 112 presenze, si è classificato terzo con la sua nazionale ai mondiali di Corea del sud e Giappone segnando un gol proprio alla Corea in 10,8 secondi, dove ancora oggi è il gol più veloce della storia dei mondiali.
Dopo il ritiro calcistico, si è candidato per il Partito per la giustizia e lo sviluppo (in turco Adalet ve Kalkınma Partisi, abbreviato AKP), il partito islamico-conservatore turco.








domenica 24 marzo 2013

MA MING YU: Dalla Cina con furore

                                                     MA MING YU: Dalla Cina con furore
Ma Ming yu  (Chongqing4 febbraio 1972
Oggi parliamo del primo giocatore cinese che abbia indossato una maglia di calcio del nostro paese, si infatti lo ha solo indossata in quanto il ragazzo venuto dall'oriente non ha mai esordito nella nostra serie a.
Il primo cinese della storia non poteva che essere acquistato dall'ex vulcanico presidente Gaucci,allora presidente del Perugia calcio,fino ad allora aveva già aperto delle frontiere di giocatori asiatici con acquisti dal Giappone, dal Sud Korea e dalla Libia, e non poteva mancare ovviamente la Cina ed ecco che venne preso Ma.
Ma andiamo con ordine e partiamo dall inizio come venne portata avanti questa trattativa di cui si narrano tante leggende su questo giocatore ancora tutte oggi sconosciute.
Ma Ming-Yu, 27 anni secondo l’Ufficio Stampa dei grifoni, dai 30 ai 32 secondo fonti cinesi. Arrivò in prestito per una stagione (per 1 miliardo di Lire), con diritto di riscatto fissato a 4 miliardi, eventualmente da versare nelle casse dei cinesi nel Giugno 2001 – eventualità fortunatamente mai verificata – ed un ingaggio che si aggirava intorno al mezzo miliardo l’anno. Ha avuto esperienze anche con la Nazionale di calcio cinese come regista arretrato e ne è stato il capitano ai Mondiali 2002. Fu l’autore del primo tiro cinese della storia verso la porta della Selecao in un epico Brasile-Cina. «Il suo solo difetto è che gioca in Cina» – disse Bora Milutinovic, ex C.T. cinese e grande stimatore di Ma Ming Yu. I fatti lo smentiranno. Giunto all’aeroporto di Roma il 13 Agosto 2000, il neoacquisto biancorosso disse: «Sono orgoglioso di giocare in Italia; mi auguro che dopo il mio arrivo si aprano le porte ad altri cinesi. Voglio far meglio di Nakata». Già da questa frase dimostrò evidentemente di non essere buon profeta. Presentato da Gaucci il giorno seguente, chiunque fosse stato presente alla conferenza stampa si sarebbe messo a ridere (non avrebbe potuto non scoppiare in una fragorosa risata): sembrava un piccolo vecchietto cicciottello, tant’è che si mormorava che avesse effettivamente molti più anni di quanti ne dichiarasse. Addirittura confessò di essere sorpreso nell’apprendere che i Comunisti erano presenti anche in Italia. 
A chi gli chiese qual’era, a suo parere, il giocatore italiano più bravo, rispose, senza esitazione: «Alessandro Nesta. L’ho visto giocare in Olanda agli Europei, è davvero un fuoriclasse. Mi auguro di poterlo comunque battere quando ci giocherò contro». Ma quando mai? E ancora: Se Del Piero è stato soprannominato Pinturicchio, mi piacerebbe poter essere chiamato Michelangelo». Manie di grandezza. L’orgoglioso Gaucci rincarò la dose: «Si tratta di un giocatore che ha delle grandi qualità e sul quale puntiamo molto per la prossima stagione. Lo abbiamo seguito a lungo e riteniamo che, per le sue caratteristiche fisiche e tecniche, possa integrarsi al meglio nella nostra squadra ed inserirsi con profitto nel campionato italiano». Alessandro Gaucci, vicepresidente del Perugia, figlio di Luciano: «Scopriamo talenti e facciamo affari: Ma Ming Yu ripeterà l’exploit di Nakata». Secondo quella che egli stesso chiama “la legge dei grandi numeri applicata al calcio”: «I cinesi sono un miliardo e mezzo, ci sarà pure un fenomeno. Cerco di portarlo qui». Quel fenomeno avrebbe dovuto essere proprio Ma Ming Yu. Ma a Perugia questo fenomeno lo stanno ancora aspettando. Dopo le presentazioni di rito ci sarà la solita e prevedibile folta schiera di giornalisti cinesi e di curiosi di ogni specie ansiosi di assistere agli allenamenti della nuova presunta stella perugina. Ma già dopo pochi giorni sembra che non abbia stimoli: per questo forse non studia neppure l’Italiano, vive chiuso in casa con la moglie, telefona spesso alla figlia di 3 anni rimasta in Cina e non cerca amicizie. «Perché l’italiano – dice Ma – è troppo diverso dal cinese. Lo studio, lo capisco poco. Fuori dal campo non saprei con chi parlare. Quando mi alleno, invece, Cosmi si fa intendere a gesti. E io so benissimo dove posso essere utile». Si, in panchina o, meglio ancora, in tribuna. Merito dell’esperienza, dei suoi 30 anni.Che in Cina arrotondano per difetto (28, con tanto di data di nascita alternativa individuata nel 10 Agosto 1972) o più facilmente per eccesso (32). «Fa la doccia, si veste e sparisce in 3 minuti», spiegano i compagni, che lo chiamano “Nonno”, per via di una faccia che dimostra ben più dei 30 anni anagrafici. «Mi piace stare in famiglia: mangiamo al ristorante cinese sotto casa, vediamo DVD coi sottotitoli, ascoltiamo vecchia musica cinese». La sua famiglia è la moglie Yue Tian. Il cinese pare isolarsi dal resto della squadra, cosa che di certo non lo aiuta ad integrarsi nel calcio italiano: a conti fatti, la maglia del Perugia (con il 9 sulle spalle) è stata da lui indossata solo due volte. In amichevole, in Agosto. E poi non esordì mai in Serie A, per lui solo una manciata di minuti in un Perugia-Salernitana 2-1, Primo Turno di Coppa Italia. A Gennaio iniziò a lamentarsi del suo scarso impiego ma fece comunque autocritica: «In Cina non ci torno. Se finora non ho giocato è solo colpa mia: non sono ancora abbastanza bravo». E dava l’impressione di peggiorare ulteriormente, visto che viveva intere giornata da pensionato. «Eppure – giurò Cosmi, che lo allenava – non è un ectoplasma. Ha qualità, visione di gioco. Gli manca poco perché smetta di mandarlo in tribuna». Un sottilissimo filo di ironia – quasi impercettibile – lega la verità dalla presa per il culo. Ma il diretto interessato ribatte: «Cosmi? Non mi dice mai niente». Forse, per non offenderlo. Il giapponese Nakata e anche il coreano Ahn, i piatti forti della connection orientale voluta dalla famiglia Gaucci, avevano mobilitato nel tempo intere truppe di televisioni e battaglioni di taccuini. Il sito Internet della società perugina era disponibile anche nella loro lingua. Per Ma, invece, niente Internet, e pochissime telecamere. Ormai, i fenomeni da baraccone non fanno più notizia.

venerdì 22 marzo 2013

VAMPETA: Il modello degli uomini

                                                        VAMPETA: Il modello degli uomini
Marcos André Batista Santos, meglio noto come Vampeta (Nazaré das Farinhas13 marzo 1974)
Iniziamo subito a dire che il sopranome Vampeta deriva dall'unione tra le parole vampiro e capeta (diavolo) e già questo ci fa capire il personaggio di cui andremo a parlare in questa pagina, ma iniziamo dall inizio.
Vampeta inizia la sua carriera nel Vitoria Bahia dove colleziona 8 presenze nel 1993/94,viene ceduto in Europa, esattamente al PSV nel 1994, dove giocherà poco solo 3 spezzoni di partita, quindi viene mandato a farsi le ossa vista anche la sua giovane età, a soli 20 anni, viene mandato al Venlo squadra della serie b olandese dove colleziona nel 1995 7 presenze e segna 3 reti,e quindi per una sola stagione torna in patria, esattamente al Fluimense nel 1995/96 dove disputa un ottimo campionato con 23 partite e 2 gol.
Nel 1996 torna al PSV dove gioca anche un certo Luiz Nazario Da Lima più semplicemente Ronaldo,dove Vampeta resta due anni vincendo Scudetto e Supercoppa con 31 presenze e 2 reti.
Sembra finita qui la sua parentesi europea: nel 1998 torna in Brasile, al Corinthians, dove vince in tre anni un Campionato ed un Mondiale per Club. Nel frattempo, il nuovo allenatore della Nazionale verdeoro Luxemburgo decide di farne l’erede di Dunga. Gli effetti sono positivi: Vampeta dispensa giocate di ottimo livello, con prestazioni ottimali sul piano qualitativo e quantitativo. Si mettono quindi sulle sue tracce diverse squadre italiane, ed alla fine prevale l’Inter, che lo ingaggia per la “modica” cifra di 15 milioni di Dollari (oltre 30 miliardi di Lire). La squadra del Patron Moratti è appena stata eliminata dalla Champions League e sta cercando di riprendersi: Ronaldo (che già si trovava a Milano) si è ricordato dei bei tempi del PSV e ha avuto la brillante idea di chiamare l’amico Vampeta. Fu così che il centrocampista firmò un quadriennale: «Vampeta di entusiasmo» è il simpatico titolo che gli dedica la “Gazzetta dello Sport” il giorno della presentazione, il 5 Settembre 2000.
L'allora dg oriali disse:«E’ talmente bravo che la sua collocazione non e’ e non sara’ sicuramente un problema»(infatti la sua collocazione venne trovata come scalda panchina)
L’esordio è positivo: va in gol (anche se con l’evidente complicità di Peruzzi) all’esordio in Supercoppa Italiana contro la Lazio, dove l’Inter verrà sconfitta 4-3. Il brasiliano viene subito caricato di responsabilità da parte di tifosi e giornalisti, poiché vedono in lui l’uomo destinato a mettere ordine in una squadra confusa: niente di più sbagliato. In seguito alle dimissioni di Lippi arriva sulla panchina nerazzurra Tardelli che, da questo momento, non gli farà più vedere il terreno di gioco per un paio di mesi. A Novembre, dopo tanta tribuna, il centrocampista sbotta: «Nella mia carriera non ho mai vissuto momenti come questo. Sono stato eletto miglior giocatore del Brasile, sono titolare nella mia Nazionale, ma non gioco. Se non c’è spazio per me, preferisco andarmene». La squadra intanto sprofonda: i tifosi si chiedono se quello sbarcato a Milano non sia una controfigura del centrocampista ammirato con la maglia del Brasile.

Dopo appena 6 mesi in maglia nerazzurra e 8 sole presenze (di cui solo 1 campionato), Vampeta emigra: ad accoglierlo c’è il Paris Saint Germain, che lo preleva dando alla controparte Stephane Dalmat, talento votato alla discontinuità più assoluta. In terra francese, tuttavia, Vampeta non si rilancia, e la sua presunta resurrezione si rivela, in realtà, un’altra totale debacle.


Da lì in poi la carriera di Vampeta inizia a crollare vertiginosamente, tolta qualche buona apparizione nei campi di calcio brasiliani: lasciata Parigi, il ragazzo gioca, tra le altre squadre, per Corinthians, Vitoria ed addirittura Al Samiya, club iracheno: basti questo a fare capire quanto declinante sia, a quel punto, la situazione professionale di Vampeta.Che dopo aver lasciato l’Europa per far ritorno in Brasile, non fa altro che disprezzare Milano e Parigi, definite città fredde, cupe ed inadatte ad un brasiliano gioioso quale lui è, innamorato, ad esempio, della liberale Olanda, dove ci si può tranquillamente dare al sesso e alla droga senza problemi. Tra le tante frasi al veleno che il diretto interessato rilascia, ve n’è una indirizzata a Massimo Moratti, accusato di “non capire un accidente di calcio“.Quanto al prosieguo della sua carriera, cui sopra abbiamo accennato, fermiamoci un attimo al 2006, anno in cui è tesserato per il Goias. Alla fine di un allenamento con la compagine brasiliana, Vampeta litiga praticamente con tutti i compagni, e li insulta nei modi più svariati possibili, definendoli anche ‘Bambi’, dispregiativo che, nella lingua madre del giocatore, indica gli omosessuali. Storia curiosa, visto che lo stesso Vampeta, qualche tempo addietro, ha posato nudo per una rivista gay, rispondendo a chi gli chiedesse se fosse eterosessuale o meno, che il servizio in questione era stato fatto solo per soldi.Cosa faccia adesso Vampeta non lo sappiamo con certezza: le ultime notizie lo vorrebbero allenatore/giocatore del Gremio Osasco, squadra della terza divisione brasiliana, per un ingaggio pari a circa 400 euro mensili. Fine ingloriosa – direte voi – per uno che ha anche indossato 42 volte la maglia dellanazionale brasiliana, vincendo anche una Coppa America (1999) ed un Mondiale (2002).

mercoledì 20 marzo 2013

ATHIRSON: Il Roberto Carlos mancato

                                                  ATHIRSON: Il Roberto Carlos mancato
Athirson Mazzoli de Oliveira (Rio de Janeiro16 gennaio 1977)
Oggi parliamo uno dei bidoni acquistati da Luciano Moggi all' epoca della sua carriera di dg della Juventus.

Athirson Mazzoli De Oliveira nasce da una famiglia benestante (il padre è un Ufficiale in pensione), quindi inizierà a tirare calci al pallone non per necessità, quanto più per ammazzare il tempo. Però la qualità c’è, tanto che gli osservatori del Flamengo ben presto lo adocchiano, e in poco tempo riesce a percorrere la scalata delle varie rappresentative Nazionali (Under 17, Under 20 e poi addirittura la Selecao). Dal 1996 al 1998 giocherà 78 partite mettendo a segno 3 reti,nel 1998 va in prestito al Santos, e si mette in mostra come un irresistibile terzino sinistro dal gol facile giocando con la squadra che fu di Pelè 25 presenze e un gol, torna al Flamengo dove dal 1998 al 2000 giocherà 99 partite e mettendo a segno qualkosa come 18 reti, non male per un terzino sinistro,ovviamente le sue prestazioni non passano inosservate ai grandi club europei, nella primavera del 2000 la Juventus gli si piomba addosso, Però la trattativa con il Flamengo, proprietario del cartellino, non è semplice: alla fine, quindi, i bianconeri aspettano che il terzino si svincoli il 31 Dicembre per poi tesserarlo a inizio 2001. A quel punto il Flamengo tira in ballo un accordo precedente con il procuratore del giocatore, ma a seguito di un complesso contenzioso legale la Juventus ottiene dalla Fifa un permesso provvisorio, grazie al quale il 23 Febbraio 2001 Athirson diventa un giocatore bianconero a tutti gli effetti. “Una vicenda che mi ha tenuto in ansia – confessa il giocatore durante la conferenza stampa – si sono comportati in modo ingiusto con me quelli del Flamengo, ma sono felice che ora sia tutto risolto e non vorrei più parlare di questa vicenda”. Ovvio. Moggi: “La Juventus cercava da tempo un laterale sinistro, capace di andare sulla fascia e crossare per le punte. Troppo caro e inarrivabile Roberto Carlos, si spera che Athirson sia il suo erede, anche se le sue attitudini preferite sono gli assist e i gol”. Le ultime parole famose. 
Passò qualke settimana,l'attesa aumentò il desiderio di vedere le scorribande del fenomeno brasiliano.Il 23 febbraio 2001, potè finalmente entrare nella storia della Juventus.Iniziarono a circolare voci secondo cui era dai tempi di Cabrini che non si vedeva un terzino mancino di quel livello alla Juve.A guardar bene, effettivamente, qualkosa in comune con Cabrini ci stava, era infatti solo il colore dei capelli.

Venne dunque il momento delle verifiche. E lì, altro che goal e assist e cross millimetrici per gli attaccanti, che a detta di alcuni specialisti (forse nemmeno troppo specialisti) erano peculiarità del brasiliano. Di fatto, Athirson, l’unico effetto che ebbe, fu quello di scatenare quasi la depressione in Ancelotti e nei suoi compagni. Esordì il primo aprile del 2001. Mai data fu più azzeccata. Cosa dire se non che i tifosi, vedendolo giocare, pensarono ad un pesce d’aprile? Altra beffa, è che il brasiliano entrò in campo per Zidane, nel secondo tempo contro il Brescia, mentre la Juve si trovava in vantaggio per 1 a 0. Come finì? Finì che il Brescia pareggiò e il risultato rimase fermo sull’1 a 1… Athirson giocò in seguito pochi spezzoni, peraltro molto male, dando la sensazione che effettivamente, da tanto tempo, la Juve non avesse un terzino così………scarso

Ovviamente la stagione seguente (2001/2002) Athirson venne dato via, anche se solo in prestito, proprio al Flamengo. La sua storia tormentata con la Juventus si chiuse definitvamente solo nel 2003 quando Lippi, appena tornato sulla panchina bianconera, impose tra le priorità quella di scacciare a tutti costi l’infausto brasiliano. Nessuno fu ovviamente disposto ad acquistarlo, così ne fu rescisso il contratto e venne addirittura pagata una penale per liberarsi di lui: 2,3 milioni di euro la cifra data al giocatore pur di levarlo di torno!In seguito Athirson avrebbe tentato la fortuna tra Brasile e Bundesliga, con risultati mediocri. Ad oggi, alla veneranda età di 35 anni, è tesserato per il Duque de CaxiasFutebol Clube, squadra delle serie inferiori brasiliane.

Che dire, quello di Athirson è uno dei primi nomi che vengono alla mente, nel momento in cui si parla di fregature prese sul mercato dalla Juventus. Di certo, è probabilmente il peggior affare mai portato a termine dal quasi infallibile Luciano Moggi: per la serie, anche i più bravi sbagliano.  Ad ogni modo è proprio vero, nessuno è perfetto!

domenica 17 marzo 2013

William Prunier (Montreuil14 agosto1967) è un ex calciatore francese, di ruolo difensore.
La stagione 1997/98 verrà ricordata dai tifosi del Napoli come un incubo: squadra straultima, una girandola di allenatori da far impressione e altrettanti giocatori ad avvicendarsi.
Oggi vi parlo di un ragazzo francese arrivato all'ombra del vesuvio dopo che l'allora presidente Ferlaino lo aveva preso guardando una video cassetta, va be che c'è di male direte voi a quei tempi era popolare acquistare giocatori con questo metodo, d'altronde il buon william era grande amico(pensate un po) di Erik Cantona,ma conosciamo la sua storia prima di approdare a Napoli.
Inizia a giocare a calcio nel settore giovanile dell'Auxerre, insieme a tanti futuri campioni come Basile Boli, Daniel Dutuel, Pascal Vahirua e appunto Eric Cantona. Una "generazione di fenomeni" svezzati sotto la supervisione del santone dell'Auxerre, l'eterno Guy Roux. Con l'A.J.A rimane la bellezza di nove anni, guadagnandosi, per le tante battaglie sostenute durante la sua lunga militanza all'Abbè-Deschamps, i gradi di capitano, prima di passare insieme a Dutuel, al Marsiglia, dove ritrova l'ex collega di reparto Boli, con il quale và  a comporre la coppia centrale difensiva. L'avventura marsigliese sembra essere un eccellente trampolino di lancio per il ventiseienne Prunier, oramai maturo per più importanti palcoscenici. La squadra di Tapie, infatti, è reduce da cinque scudetti di fila e parte ancora una volta con i favori del pronostico. Sembra che il copione debba nuovamente ripetersi, ma un'irripetibile annata del Paris Saint-Germain non permette al Marsiglia di portare a casa l'ennesimo titolo nazionale. L'anno successivo, però, la giustizia sportiva revoca lo scudetto del '92-"˜93 e retrocede l'OM in serie B a causa del coinvolgimento diretto del presidente Bernard Tapie in un affaraccio di corruzione. Prunier, come molti altri titolari, decide, allora, di fare le valige e andar via. Difficile seguire un pur prestigioso club come il Marsiglia in Ligue 2 quando si è all'apice della carriera. Si accasa così, ancora una volta insieme a Dutuel, al Bordeaux, squadra che, considerati gli ottimi risultati ottenuti negli ultimi anni, ambiva a fare il definitivo salto di qualità . Una stagione e mezzo con "les Girondins" insieme a Lizarazu, Zidane e Dugarry, con i quali vince la prima edizione della Coppa Intertoto nel 1995, prima che un inaspettato colpo di fortuna gli schiude le porte della Premier League. Lo chiama, infatti, Alex Ferguson al Manchester United. Accadde che una serie impressionante di infortuni ed altri problemi ridusse ai minimi termini una buona parte della difesa dei Red Devils. Steve Bruce, Gary Pallister e David May erano, infatti, tutti fermi ai box, e Ferguson, che era alla ricerca di uno stopper di scuola continentale, decise di ascoltare i consigli di Cantona e dare così un'opportunità  a Prunier, vecchio amico del suo pupillo. Arriva così all'Old Trafford questo possente difensore centrale, certo un po' ruvido, ma forte di testa e spietato in marcatura, pronto a giocarsi l'occasione della vita. Dopo un buon esordio contro il modesto Queens Park Rangers, lo United vola a Londra, nella tana del Tottenham. A White Hart Lane il Manchester perde 4-1 e Prunier ne combina di tutti i colori, contribuendo al pesante passivo con il quale i Diavoli Rossi lasciano il campo di gioco.Il sir Alex lo manda al Copenaghen in Danimarca dove colleziona 11 presenze,nello stesso anno torna in patria al Montpellier dove disputa un discreto campionato dove colleziona 27 presenze e si rimette in gioco dopo la sfortunata avventura Inglese.E siamo alla stagione 1997/98,Prunier avrà una seconda grande occasione per far vedere le sue doti fuori dal suo paese,lo acquista il Napoli.
Prunier arriva a Napoli dopo che i partenopei, battuta la concorrenza del Celta Vigo, versano nelle casse del Montpellier un miliardo tondo tondo delle vecchie lire, facendogli firmare un contratto biennale da 500 milioni. Alto, pelato, orecchie a sventola, il roccioso transalpino è voluto fortemente da Corrado Ferlaino, con il benestare del team manager Ottavio Bianchi, anche se qualcuno maligna che il massimo dirigente azzurro si sia basato solo ed esclusivamente su alcune videocassette per giudicare la bontà  del difensore francese, dopo aver letto di lui sulle pagine di France Football.Gli inizi, però, non sono certo incoraggianti. Alla prima giornata, contro la Lazio all'Olimpico, Prunier rimedia una tremenda gomitata da Boksic che lo manda al tappeto facendogli perdere conoscenza per ben 4 minuti. Il brutto incidente lo mette fuori gioco per qualche tempo e al suo rientro Bortolo Mutti non lo considera più una prima scelta, il buon William è sofferente inizia a lamentarsi dell arrivo di Mirko Conte,verrà persino multato per alcune sue dichiarazioni ed ecco la sua seconda chance arriva alla 5 giornata la difficile sfida contro la Roma di Zeman, sempre all'Olimpico, però, gli azzurri rimediano, un pesantissimo 6-2, con Balbo, diretto avversario di Prunier, che realizza una tripletta facile facile, ridicolizzando il granitico difensore. Il lunedì seguente i quotidiani sportivi non si risparmiarono nei giudizi, il migliore dei quali però resta questo: "Forte come una quercia, statico come una quercia"
Bastarono, infatti, solo tre partite a far capire al Napoli e ai suoi tifosi che non era il caso di "fondare" la difesa su questo "pilastro". àˆ pur vero che in quella disgraziata stagione gli azzurri chiusero il campionato all'ultimo posto con appena 14 punti, ma non si può certo negare che anche Prunier diede il suo "contributo" alla retrocessione. E dire che appena arrivato a Napoli non ebbe paura di affermare:«Con i miei gol di testa porterò il Napoli in UEFA». La sua avventura italiana finisce così con tre sole presenze, e tutte senza ricordi positivi. Prunier riesce ad esprimersi in modo dignitoso solo in patria. Dal 1999 al 2003, infatti, difende stoicamente i colori del Tolosa, anche in Ligue 2, vincendo il campionato di seconda divisione nel 2003 e venendo inserito, al termine della stagione, nella Top 11 della serie cadetta. Alla veneranda età  di 36 anni Prunier dice basta con il calcio francese e si concede alle sirene degli sceicchi in Qatar, firmando per l'Al Sailiya dove chiude la carriera.
Quindi doppio record per Prunier dove è stato un bidone in 2 nazioni diverse,ecco un articolo del THE SUN  che scavando nel passato dei Red Devils, se ne uscì con una classifica degli "acquisti da dimenticare" posti in essere da Sir Alex, e in quinta posizione compare proprio Prunier, vero incubo dei tifosi del Manchester.